Dall’altra parte del mare: storie di donne pensanti

Ancora una volta mi sono commossa rileggendo lo scritto che sto per pubblicare: le tre storie che contiene, le considerazioni finali e la brevissima conclusione in forma di apologo, che Sandra ha saputo trovare per darci una testimonianza così densa e perfetta. Sono storie raccolte in un Brasile lontano dai riflettori, quello dove Sandra ha vissuto per quasi undici anni, dove torna ogni volta che può e di cui ha sempre voglia di parlare, come scrive nel suo blog, che consiglio di visitare a tutti quelli che hanno voglia di capire cosa racchiuda questo enorme paese, spesso conosciuto solo per frasi fatte. Anch’io Sandra l’ho scoperta proprio così, guidata dalla volontà di conoscere un luogo di cui tanto ho letto ma dove non sono mai stata, e dall’intuizione che in lei avrei trovato uno sguardo coinvolto e sapiente, che mi avrebbe trasmesso il senso complesso di una nazione, smascherata nelle sue contraddizioni più intime e, insieme, profondamente amata. Leggendo le vite di Célia, Luiza e Ana Lúcia, ritrovo anche un pezzo importante di una donna nata in una vita simile alla mia, che ha avuto il coraggio di aprire gli occhi su un mondo che spesso preferiamo ignorare, raccontandocene l’umanità e il coraggio.


Nel mio primo periodo di lavoro in Brasile, una volta mi arrivò un bambino di 9-10 anni e mi domandò: “ma la tua mamma dove abita?”. “Dall’altra parte del mare “, risposi io. Dopo qualche giorno tornò da me un po’ arrabbiato: “Mi hai detto una bugia”. “Perché?” – gli domandai io. La sua risposta fu: “Perché il mio papà mi ha detto che non c’è niente, dall’altra parte del mare”.

Le brevi storie che vi racconterò provengono da quel contesto: un mondo nel quale il livello di conoscenza è talmente limitato che non si concepisce l’esistenza di qualcosa che stia dall’altra parte del mare. È in quel Brasile che vivono Célia, Luiza  e Ana Lúcia.

Célia è una madre di famiglia. Ha fatto la scuola dell’obbligo e poi, giovanissima, si è sposata con João e si è messa a fare la casalinga. Ha avuto 4 figli, ma ne ha allevati molti di più. Negli anni ’80 è diventata coordinatrice parrocchiale della Pastoral da Criança, un’attività rivolta alla protezione materno-infantile (per chi volesse saperne di più ne parlo anche qui) e per circa 20 anni ha fatto di quell’incarico una missione di vita. I casi più difficili se li prendeva in casa e salvava la vita di quei bambini ma anche delle loro madri, insegnando loro a prendersi cura dei figli e mostrando come nutrirli,  come curare diarree, disidratazione e denutrizione, come pulirli, come accudirli. Qualche madre si stabiliva a casa sua insieme al figlio fino a che i problemi di salute del piccolo o della piccola non erano completamente risolti. In tutti gli altri casi, una volta ristabiliti i bimbi tornavano dalla loro mamma. Di tutti i piccini la cui vita è stata ripresa per i capelli, una – Ana detta Aninha –, è stata poi adottata da una famiglia benestante ed è ora una giovane, bellissima e brillante studentessa universitaria. Altre due, Valdinês e Edjane, sono rimaste in casa di Célia e, malgrado non siano mai state adottate formalmente, sono state di fatto la quinta e la sesta figlia; ora sono giovani donne che a loro volta si sono fatte una famiglia. Célia non ha mai chiesto nulla per questo impegno aggiuntivo. Spesso l’abbiamo aiutata concretamente con l’acquisto di materiale, specialmente quando casa sua è diventata un vero e proprio “asilo” in appoggio all’ambulatorio pediatrico locale. Ma pur nella sua semplicità e povertà ha sempre cercato di fare la sua parte per migliorare le condizioni di vita della sua comunità, anche quando è stata colpita dal lutto più grave che possa affliggere una donna, la morte improvvisa del sue secondogenito ventenne, Jean. Célia è una donna pensante, malgrado non abbia roboanti titoli di studio e sia una persona qualunque vissuta in una piccola e sconosciuta città dello stato di Alagoas.

Anche Luiza è una madre di famiglia. Analfabeta, abita in una casetta scalcagnata nella periferia fangosa della stessa piccola città in cui vive Célia, nell’interno del Nordest brasiliano, dove la canna da zucchero regna sovrana e gli uomini che la concimano col proprio sudore lavorano in condizioni di sottoimpiego (o forse dovremmo dire semischiavitù?). Anche Luiza ha avuto quattro figli, solo che i primi due, una femmina e un maschio, sono nati con una gravissima forma di handicap che li ha resi dei vegetali. La ragazza è morta nella prima adolescenza e non l’ho conosciuta. Il ragazzo invece sì, anche perché è vissuto fino a 21 anni, a dispetto di ogni previsione medica. Dinho era accudito con un’amorevolezza fuori dal comune, soprattutto in un ambiente in cui i disabili venivano tenuti in stato di reclusione, spesso relegati nell’angolo più sporco della casa, ultimi fra gli ultimi. Dinho invece era sempre pulito e ben nutrito, la mamma gli preparava i suoi biberon col latte in polvere (spesso ricevuto in dono da persone generose) e, malgrado le condizioni igieniche della casa non fossero delle migliori, non ricordo di aver mai visto la pelle di Dinho infestata da ponfi di insetto o infiammazioni di qualsiasi tipo. I pannolini di stoffa venivano fatti a mano dalla mamma, che passava buona parte del proprio tempo a lavarli. Raramente mi è capitato di vedere una dedizione così assoluta, matura e disinteressata: Dinho non reagiva, non sorrideva, non dava alcun riscontro alle cure ricevute. Si è limitato a vegetare fino al giorno della sua morte. Che importa essere riconosciuti, essere ricambiati, essere gratificati? La gratificazione consiste nell’amare, non in ciò che si riceve in cambio. Questa è stata la testimonianza dell’analfabeta Luiza, anche lei donna pensante.

Ana Lúcia ha 49 anni ed è la seconda di 8 figli. Il padre faceva l’autista nei camion della canna da zucchero, sua madre faceva e fa la casalinga. Non si è mai sposata perché non ha mai trovato un uomo alla sua altezza e perché aveva altro di cui occuparsi, per esempio aiutare la sorella maggiore Vera a fare da madre a due nipoti, aiutare economicamente la famiglia lavorando fuori casa, sostenere fratelli e cognate nelle lotte quotidiane. Aveva vinto un concorso e lavorava in città, nella pubblica amministrazione. Nel 1995 ha deciso di tornare al paesello per lavorare presso il centro sociale che avevamo costruito con i fondi della cooperazione italiana grazie a un progetto promosso da una ONG romana. In pratica, mi ha sostituita quando me ne sono andata a lavorare altrove, e soprattutto ha preso su di sé la responsabilità di contribuire alla crescita umana e culturale della sua piccola città come io non sarei mai stata capace di fare. Non solo si è adoperata per promuovere nuove e più significative attività sociali ed educative nel centro, ma ha anche iniziato a partecipare con impegno ad alcune realtà territoriali. In breve tempo è stata nominata presidente del consiglio municipale di difesa dei bambini e degli adolescenti, poi presidente dell’associazione degli abitanti della città, poi ha fondato la locale sezione del Partito dei Lavoratori ed è stata candidata a vicesindaco. Lasciato il centro e rientrata alle dipendenze dello stato, si è messa a insegnare e ha fondato il comitato cittadino del sindacato dei lavoratori della scuola. Nel frattempo, alle soglie dei 40 anni, si è iscritta all’università. Si è laureata in lettere e ha fatto anche una scuola di specializzazione. Attualmente insegna lettere alle scuole medie ed è un membro attivo del sindacato, nonché una figura illustre della sua comunità. Ana Lúcia è una donna pensante che, nonostante le condizioni sfavorevoli in cui è nata, ha saputo prendere in mano la propria vita e diventare un’agente di trasformazione della sua comunità.

Ci sono modi diversi di essere donne pensanti. Alcune più che pensanti sono senzienti, ma anche il sentire non è forse una forma di pensiero? Vi ho raccontato queste storie sperando che siano di stimolo a considerare il “pensare” proprio nella sua accezione più ampia e meno intellettualistica possibile. E anche perché possiamo rivalutare ciò che abbiamo ricevuto gratis, senza meriti: non ha scelto Luiza di essere analfabeta, le è stato imposto dalle circostanze. A noi sono state offerte molte opportunità in più rispetto a queste donne, eppure spesso abbiamo il coraggio di lamentarci di ciò che non abbiamo, prendendolo a pretesto per non fare la nostra parte e non trasformare il mondo in cui viviamo. Siamo forse più oppresse, più svantaggiate, più sfortunate di queste tre donne comuni, eppure eccezionali?

Scoppiò un incendio nella foresta e tutti gli animali si misero a fuggire, meno il colibrì che andò al fiume, riempì d’acqua il suo piccolo becco, volò verso il fuoco e ve la versò. Poi tornò di nuovo al fiume, riempì il becco d’acqua, andò a versarla sul fuoco e così di seguito per molte altre volte.

Mentre fuggiva, il leone lo vide e, ironicamente, lo apostrofò: ‘Stupido colibrì, scappa! Con un becco così piccolo pensi che riuscirai a spegnere l’incendio?’

‘So benissimo che non spegnerò l’incendio’ – rispose il colibrì – ‘sto semplicemente facendo la mia parte…’

Sandra