Sull’uso del maschile generico

Vedere il nostro manifesto in giro per le piazze e le case d’Italia è una grande emozione, un fatto che prova come anche un piccolo gesto possa sortire virtuosi contagi, inserirsi nell’orizzonte piatto increspandone i confini e scompigliandone finalmente le linee, sempre più simili a una gabbia. Ne siamo molto contente. Una critica abbastanza ricorrente che ci è arrivata da più parti per questa nostra iniziativa è stata per l’uso del maschile negli attributi che abbiamo scelto per la nostra ricerca di un nuovo presidente del consiglio. Ci è arrivata perfino una proposta con scritte fucsia tutte volte al femminile, al posto del nostro nero serioso, che inanellava, invece, aggettivi al maschile, facendo evidentemente supporre che abbiamo in mente l’ennesimo presidente uomo.

La prima reazione, ve lo confesso, è un po’ risentita: la fatica di mandare avanti questo progetto, sostanzialmente, per ora, in sei persone, con lavori impegnativi e figli più piccoli che grandi, è immane, e quando ci fanno notare questi particolari – non saltatemi al collo che provo a spiegare perché, in questo momento storico, io li reputi tali – ci pare che si voglia a tutti i costi cercare il pelo nell’uovo, ignorando il peso e la portata della battaglia che insieme a voi tutte vogliamo portare avanti. Ma poi, ripensandoci, mi sono detta che non è mica questo il punto. Oltre al fatto che la nostra polemica è palesemente contro Silvio Berlusconi, come ha ribadito a chiare lettere Valérie sulla community, il quale deve urgentemente dimettersi. Il che non significa ovviamente che i problemi del paese stiano lì, né significa scadere nei personalismi: c’è una persona accusata di reati gravi che sta continuando a occupare il potere nell’estremo tentativo di fare, per l’ennesima volta, uso delle istituzioni per favorire i propri interessi o, obiettivo minimo, di continuare a insabbiare le sue responsabilità. Questa persona sta inceppando l’apparato statale: l’Italia è un paese fermo da mesi perché tutte le energie sono assorbite da questa rivoltante pantomima, stritolato nella morsa della sua macchina di bugie. Questa persona deve dimettersi al più presto. Prima spiegazione dell’uso del maschile.

Poi c’è la motivazione addotta da Francesca: in italiano il generico è ancora, purtroppo, espresso solamente dal maschile e la lingua, è provato, si cambia soltanto con l’uso. Per questo, io nel mio piccolo, quando mi rivolgo a gruppi misti, tendo a usare il femminile se la maggioranza dei membri è donna, anche se la differenza è soltanto di una persona. La trovo la soluzione più logica ed esteticamente meglio riuscita, rispetto alle i/e barrate o a quegli asterischi che trasformano le rotondità della lingua italiana in asperità dal sapore nordico, che mal si confanno al resto del discorso. Avremmo dovuto fare lo stesso nel nostro cartello? A rigor di logica, in Italia ci sono più donne che uomini: giusto sarebbe, dunque, usare il femminile come collettivo generico. Oppure qualcuna avrebbe voluto il femminile proprio per suggerire la necessità di avere finalmente una donna come presidente del consiglio del “paese più maschilista d’Europa”. Giustissimo anche questo. Ma c’è un’urgenza che ci obbliga a usare strumenti imperfetti per raggiungere obiettivi minimi ma fondanti: su cosa si concentrerebbero i commenti a un cartello tutto volto al femminile da parte di molti uomini?

Tanti alzerebbero le spalle e ci liquiderebbero come l’ennesima manifestazione di un femminismo con cui hanno preferito evitare di confrontarsi e così ci saremmo ancora una volta ghettizzate. Con questi uomini noi vogliamo parlare, vogliamo che capiscano le ragioni di una lotta che è di ogni persona civile, di tutti coloro che vogliono trasformare la società cercando di rimpicciolire le ingiustizie che la attraversano. Così come vogliamo colpire l’attenzione di quei ragazzini che forse stanno per votare (o già votano o) a favore di un sistema che sponsorizza la mercificazione delle donne e calpesta quotidianamente la loro dignità. Non vogliamo che si distraggano, che trovino delle scuse, vogliamo che si soffermino almeno un attimo a pensare in che condizioni è finito il nostro paese, dov’è la nostra credibilità sul piano internazionale, che cosa sta facendo chi dovrebbe lavorare per il loro futuro. Vorremmo evitare le solite glissate, i soliti tentativi di eludere, di scrollare le spalle come se non fosse un problema loro ma “la solita tirata delle femministe”. E non perché non ci sentiamo femministe – anzi, del femminismo riconosciamo l’importanza per la conquista di molti dei nostri diritti e per lo smantellamento, in parte certamente riuscito, di tutto un sistema prevaricatore, di stampo patriarcale – ma siamo convinte che il femminismo, oggi, abbia bisogno anche degli uomini e che gli uomini abbiano bisogno del femminismo. Per questo l’uso, ancora una volta, del maschile generico: per non perderli per strada in questa fragile fase di transizione. Nella speranza che sensibilizzandone il più alto numero possibile anche la lingua cominci pian piano a riflettere e raccontare un mondo che – è il nostro auspicio – può essere che stia cominciando a trasformarsi in profondità.