A casa mia
Manca meno di un mese – e febbraio è pure il più corto di tutti – alla fine della raccolta di queste testimonianze che, ve lo ricordo, si chiuderà il prossimo 8 marzo. Quindi, basta tergiversare: inviatemi i vostri papiri! Non aspetto altro, all’indirizzo silvia@donnepensanti.net.
Alla fine ce l’ho fatta a farci raccontare da Angela il suo Messico, quello dimenticato, quello che rimane fuori dalle cartoline e dalle guide turistiche e che a lei, invece, le è entrato sotto la pelle. Non ha scritto una testimonianza per Donne Pensanti, Angela, che lei è fatta così, ha bisogno di un interlocutore in carne ossa sennò le sue parole non prendono vita. Allora mi ha mandato due mail di qualche anno fa: la prima l’aveva scritta a un caro amico, che stava tornando a Bologna, dove studia, dal suo paese, dove era finalmente tornato, dopo alcuni anni; Angela gli spiega il suo personale concetto di “casa”. La seconda era indirizzata a un’amica rimasta in Italia, a cui Angela racconta cos’è la sua vita nel barrio di Tepito, Città del Messico, dove, all’epoca, lavorava come educatrice.
Cecio, sono i tuoi ultimi giorni a casa, la casa vera, quella degli odori dell’infanzia, dei rumori che ben conosci dei colori che distingui con una nitidezza immediata, degli odori che ti aprono a un mondo di ricordi: la scuola, gli amici, la polvere, il cielo e le sue nubi.
Casa: questa piccola parola ha un grande peso da portare. Per ognuno di noi ha un riferimento soltanto, che non dobbiamo mai perdere per non perderci, però per ciascuno si apre anche a tutto ciò che nella vita si incontra e che si accoglie.
Per me la mia casa, quella vera, che porto nel cuore e nell’anima e che ha creato parte di me è quella in riva al mare, della quale conosco ogni angolo, ogni mattonella rotta, ogni solco nelle pareti. Ricordo tutti gli odori, diversi ogni giorno e la vedo ancora piena di gente, come nelle domeniche di aprile quando iniziava a fare caldo e la mia nonna Anita, la Elsa e la Marcella si sedevano sul cornicione della finestra del salotto di zia e prendevano i primi soli, sparlando della gente che già cominciava a riempire la spiaggia mentre mamma, come al solito agitata, saliva e scendava le scale facendo non si sa bene cosa; a volte compariva anche Valerio che si metteva a fare qualche lavoretto o aiutava mio zio Rino con la manutenzione della barca.
Io a quel tempo vivevo tutto questo da bambina con la mie bambole e i miei pentolini, già con il desiderio grande di fare il bagno anche se ancora era troppo freddo. Io vivevo tutto questo e non potevo sapere che l a mia vita cominciava da lì, da ciò che in quel terrazzo pieno di sole stavo vivendo, annusando, apprendendo, dalle voci, dalle parole, così importanti per disegnare il proprio mondo presente e futuro.
Per me è quella la mia casa e dovunque vado, dovunque andrò, chiunque avrò al mio fianco, per qualsiasi sentiero della vita mi metterò quando qualcuno pronuncierà la parola “casa” il mio cuore avrà in mente un riferimento, uno solo e per sempre.
Casa però è anche tutto ciò che ci costruiamo con le nostre mani, con il nostro cuore, con il nostro coraggio.
Casa per me è anche il Belvedere, le chiacchere con Cami a quindicianni su nello studio mentre cercavamo di telefonare di nascosto perche’ senno’ mia mamma si arrabbiava, le cene d’estate in giardino che finiscono sempre troppo tardi irrimediabilmente quando i bagnanti sono già arrivati per dormire. Casa è ancora e sempre lo sarà Via De’Monari che mi ha insegnato tanto come nessuno, o la Casa Azul di Luana dove le emozioni prendevano vita ogni sera quando i bimbi già dormivano e noi ci facevamo un rummettino e alla fine quasi sempre erano anche due o tre e ricordavamo le facce belle e stanche del giorno vissuto. Casa adesso per me si trova in calle Canarias, esquina con Luis Espota, delegacion Nativitas, Disticto Federal, Mexico. E’ casa perché la amo, perché le emozioni ci sono passate tutte, perché quando fa buio spengo tutte le luci e guardo la città dalla mia finestra preferita, quella dello studio di Marco.
Casa però’ sono anche tutte le braccia nelle quali ti sei sentito sicuro e che ti hanno stretto con amore sincero. Casa sono le facce belle che ricorderai per la vita o anche solo per un giorno. Casa é anche la voce dei tuoi amici cari che quando li chiami da lontano lì per lì non sentono bene e alla prima non capiscono chi è poi, quando riconoscono la tua voce, dicono il tuo nome con una gioia cristallina, stupiti ma non tanto perché anche se non sei lì sei sempre con loro.
Come vedi “casa” è tanto, è qualcosa di sincero che ti cresce e ti rende quello che sei, che ti culla quando sei stanco o triste, che ti fa sentire bene.
E per te “casa” cos’è? Credo che anche tu, se guardi bene nel tuo cuore, con facilità puoi indicare con un dito la tua casa, però credo anche che sia un lavoro duro convivere con il pensiero che la “casa” che ti porti dentro è così lontana dalle altre “casa” che sono diventate la tua vita…
Adesso stai per lasciare il tuo paese, di nuovo e per un tempo grande, che cosa ti porterai dietro, apparte un cingo di cose da mangiare?!!!Non cercare di portarti via il più possibile perché poi, nei mesi, le cose si confonderanno, quello che hai vissuto tanto è’ già dentro di te, è la persona che diventerai in questi mesi, in questi anni, le scelte che farai i sorrisi e gli abbracci che regalerai
Scegli con cura i suoni, gli odori, i sapori, le immagini che saliranno con te su quell’aereo. Se saprai farlo ricorda che saranno volti vivi che mai, neanche per un istante, ti abbandoneranno. Sono quelle cose speciali che ognuno guarda per sé e sa usare con cura e parsimonia. Sono quelle cose “casa” che ti salvano quando tutto sembra perduto… ma poi ecco che ne arriva una e te ne ricorda altre e ti ricorda come stavi tu quando stavi vivendo tutto questo, super felice o magari davvero triste pero’ vivo e in cerca di altre “case” da portare con te.Angela
Ho iniziato a lavorare all’interno del progetto “calle” a tempo pieno e quello che vedo e che ascolto ogni giorno è una realtà dura, piena di solitudine e sofferenze. Ogni mattina cerco di presentarmi al centro serena per dare al meglio il mio piccolo contributo ma lavorare con quei ragazzi è difficile e ti mette alla prova . Molti sono in condizioni psico-fisiche davvero debilitate, a causa dell’assunzione di qualsiasi tipo di droga e di una vita che per quanto sia fervida la mia immaginazione non arrivo nemmeno lontanamente ad intuire, altri in condizioni igieniche che rendono davvero difficile l’istaurarsi di una dinamica relazionale. L’odore della “mota” (il solvente misto a colla che sniffano continuamente) non mi abbandona più, è così forte e persistente che sempre me lo sento dentro il naso.
Eppure andando al di là di tutto questo si scoprono persone piene di talento, di intelligenza e di sensibilità’ provate da una vita che nessuno si meriterebbe sopratuttto quando si è ancora dei bambini.
Oggi ho lavorato tanto con Mario, un ragazzo davvero bellissimo e ridotto praticamente una larva, perennemente strafatto e di una sporcizia che lo rende quasi inavvicinabile; all’ora del pranzo (che i ragazzi si cucinano da soli e che per questo stesso motivo noi educatori non possiamo consumare, perché ti lascio immaginare con che accorgimenti igienici lo preparano, ho visto intingere un panno sporco di sangue nella padella dei fagioli) nonstante quel pasto rappresentasse per lui l’unico della giornata ha chiesto che venissi servita prima io…mi sono sentita morire, ho rifiutato con la scusa che non posso mangiare cose piccanti perché il mio stomaco non ci è abituato…e lui mi ha guardata intensamente e con serietà, articolando le parole in un discorso completo, e mi ha detto che l’indomani sarebbe andato a comprare del pesce perché così anche io avrei potuto mangiare.
Per non scoppiargli a piangere davanti ho fatto molto fatica e subito dopo sono scappata nel bagno; probabilmente Mario non mi comprerà il pesce, probabilmente appena dopo aver fatto lo sforzo di pronunciare quella frase già si sarà scordato di tutto, ma non posso scordarmi io, del “sentido” di quelle parole.Questa e’ la vita a Tepito, mitico barrio del Districto Federal, dove si venerano altri dei, dove finisce tutta la merce rubata o contraffata di una citta’ di 25 milioni di abitanti, dove si puo’ ascoltare salsa e cumbia per strada a qualsiasi ora del giorno e della notte, dove si “nascondono”gli uomini della mara Salvatrucha e dove si vive con niente ma spesso con tanto ingegno da non permettere alla miseria e alla disperazione di vincere.
E come amo ripetere a tutti quelli che pur vivendo da sempre in questa città non vi hanno mai messo piede e non intendono farlo “non è tutto oro quello che luccica e non è tutta merda quella che puzza”, per me Tepito anche se è tutto quelllo che ti ho raccontato e anche di più…di più perche’ intriso di una surrealtà che solo qui nel paese che questo termine lo ha inventato e lo vive giorno dopo giorno può manifestarsi, per me è il calore di tante braccia che mi hanno regalato apapachos, sorrisi e amicizia, è la faccia della signora Carmen che spero di non dimenticare per il resto della vita, è la faccia della Miri che tutte le mattine mi prepara il caffè e della signora Maria Luisa che ha portato una pentola con cinque chili di pasta a casa sua per finire di cuocerla perché al centro era finito il gas. Per me Tepito è tutto questo e sì, è anche qualche “mamacita” (che non e’ proprio un complimento!!!) urlato dall’altro capo della strada… ma sai che ti dico che un bel “mamacita” in puro dialetto chilango urlato da un trentenne che sembra avere sessant’anni, sporco, unto e grasso, lo auguro a tutte perché tutto sommato fa bene all’umore!Angela
…che dire? io del messico ho visto solo la pagina patinata che è permessa a chi va come turista e…tutto questo è terribile e meraviglioso allo stesso tempo.
Complimenti per il coraggio e la sensibilità, ti ammiro davvero.
Angi: belle parole, comme te! Te extraño!!! Bacci
🙂
grazie Joliè
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