Se non ora, quando? Le nostre parole per il 13 febbraio 2010.

Socie fondatrici DP 13 febbraio, foto Sara Colombazzi
Socie fondatrici DP 13 febbraio, foto Sara Colombazzi

Ancora euforiche per l’ondata di vita, militanza e allegra consapevolezza dell’urgenza di cambiare le cose, abbiamo pensato di pubblicare qui sul sito una sintesi dei discorsi che abbiamo letto in piazza Maggiore a Bologna e, in mattinata, in piazza Matteotti a Imola. Per sigillare questa giornata che ci ha riempito di speranza e di volontà di continuare la nostra battaglia e ricordarcene quando abbiamo qualche dubbio che ne valga davvero la pena!

Il sentimento che nasce davanti a una piazza piena come quella di oggi è doppio. Da un lato prende forma con la presenza di tutte e di tutti coloro che sono qui, la gravità di una situazione ormai intollerabile. Dall’altro si ha la netta sensazione che lo spazio per la reazione comune, per l’espressione massiccia del dissenso è possibile, oggi più che mai! Sentimento di allarme, urgenza, sbigottimento sì, ma anche sentimento di appartenenza, di empatia, di sorellanza.

Come associazione Donne pensanti siamo qui oggi, 13 febbraio, insieme a molte altre donne, in molte altre piazze per difendere un’altra immagine della donna, un’altra concezione del femminile, diversa dal penoso spettacolo di questi mesi, di questi anni, diversa dall’uso mercantile del corpo delle donne. Non si tratta di neofemmenismo o di veterofemminismo, si tratta di femminismo. Un femminismo calato sui mille possibili volti di donne, non di donna. Un femminismo senza retorica fatto delle parole e delle azioni di tutte coloro che cercavano uno spazio di espressione. Donne pensanti é nata proprio così, dalla volontà di accogliere lo scontento e l’indignazione, sempre più diffusa fra le persone comuni, per lo stato di sopraffazione in cui le donne sono costrette nel nostro paese, in un’azione efficace, compatta ma non monolitica, che vuole integrarsi in un movimento trasversale fatto di tanti attori affiatati in una lotta comune.

Siamo convinte che se non facciamo sentire oggi il nostro dissenso, se non lo urliamo, ancora una volta verrà detto ovunque che siamo consenzienti, e si millanteranno ancora sondaggi che inventano un consenso al Presidente del Consiglio del 70 dell’80, del 120 %. Ora no, guardatevi, guardiamoci intorno: qui non c’è consenso, c’é solo dissenso . E si potranno ancora fabbricare sondaggi su misura, ma che non ci si permetta più nel nome del popolo, perché il popolo comincerà ad urlare “dimissioni” come ha urlato “vattene” il popolo egiziano sulla piazza Tahrir.

Per questo oggi chiediamo le dimissioni di Berlusconi. Non perché in lui sia incarnato il male supremo dell’Italia ma perché si tratta del primo e necessario passo per cominciare un processo di ricostruzione culturale, sociale e politica. Le chiediamo come donne, come cittadine, e le chiediamo insieme a tutti quegli uomini e cittadini che non accettano di essere rappresentati da Berlusconi e dalla sua corte di lacchè.

Vorremmo che fosse chiaro che ciò che ci spinge a reagire non è solo lo scandalo sessuale. Ciò che ci preme smantellare è il sistema che Silvio Berlusconi, grazie al monopolio dell’informazione e della disinformazione, alla tentacolare estensione di poteri che non hanno né limiti né ostacoli, ha creato in questi anni. Un sistema di corruzione che usa le donne come moneta di scambio per ottenere favori, che ha svuotato di senso le parole (le parole sono importanti…diceva un signore…), che ha affamato le scuole condannando il nostro capitale per il futuro a sperare di andare all’isola dei famosi piuttosto che diventare una lavoratrice o un lavoratore. Un sistema che ha sbeffeggiato, deriso, offeso i valori fondatori di una Repubblica fatta di cittadine e di cittadini.

Oggi, in Italia, la sfida per inventare una società liberata e libera, partecipativa e politica, giusta in quanto egualitaria, questa sfida passa per una nuova definizione del ruolo delle donne e, in un modo più generale, del ruolo del femminile. E questo, anche i vampiri, sospesi fra l’essere e il nulla, lo hanno capito. A loro spese.

Così, se vogliamo dare alle donne e agli uomini italiani una speranza di ritrovare dignità nella cultura sociale e politica di questo paese, bisogna riformare da cima a fondo il ruolo della donna nella politica, nella cultura e nella società italiana.

Questa riforma non è possibile senza l’impegno di tutti, donne e uomini insieme.

Diciamo basta ai giochi di potere che mirano, ancora una volta, ad addomesticare le donne, renderle docili, innocue, inoffensive: oggetti e non soggetti del piacere e del desiderio, un desiderio che non le contempla se non come strumenti. Rimettiamo invece l’accento sul nostro piacere e sui nostri desideri, non quelli che veniamo indotte a sentire, ma quelli a cui arriviamo ascoltando la nostra incapacità di integrarci, la nostra insofferenza, la nostra inadeguatezza, le nostre unicità. Reagiamo contro questa nuova forma di sudditanza, talmente surrettizia e devastante che alcune di noi l’hanno voluta confondere con una forma di emancipazione. Reagiamo contro la violenza omogeneizzante di questo divertimentificio squallido, da società grigia e depressa, reagiamo tornando a praticare la convivialità, la condivisione, la complicità, la sorellanza, la solidarietà, l’unione. E la gioia, anche. Riscopriamo le parole che ci stanno rubando, riconnotiamole con i nostri sensi: libertà, desiderio, corpo, amore, pensiero, dignità. Non permettiamo che ce le rubino per restituircele svuotate e sfregiate.

La dignità non è una questione di forma, facciata, atteggiamenti, folklore. È una questione sostanziale che ha a che vedere coi nostri DIRITTI, così come li sancisce la Costituzione:

Art. 3. Tutti i cittadini HANNO pari dignità sociale.

L’articolo non dice DOVREBBERO AVERE. La dignità sociale non è un ideale da raggiungere, ma un fondamento del vivere civile. Eppure molte di noi si sono accontentate, hanno accettato che così dovrebbe essere in un mondo perfetto, mentre nella nostra Italia imperfetta va bene anche se.

Anche se per lo stesso lavoro mi pagano meno.

Anche se per il lavoro familiare e domestico non mi pagano per niente.

Anche se dopo una vita di lavoro dentro e fuori casa, devo fare i conti con una pensione nettamente inferiore a quella di chi ha lavorato solo fuori casa.

Perché ci accontentiamo di una dignità di serie B? Non siamo qui per lamentarci, ma per esigere con autorevolezza la dignità che ci spetta.

Riprendiamoci i nostri corpi e lasciamoli liberi di pensare e raccontarsi, perché pornografia è quando i corpi sono smembrati dalle persone, quando sono recisi dalle narrazioni di cui sono la mappa e la trama, la pornografia è negli sguardi stolidi di chi nei corpi non vede che carne da macello e non la materia viva di un racconto infinito, che si trasmette di generazione in generazione.

Chiediamo le dimissioni di Berlusconi come primo passo, minimo quanto necessario, per smantellare un sistema prevaricatore, ingiusto e criminale.

Contro la società dello spettacolo e la videocrazia riprendiamoci la parola: torniamo al discorso, alle nostre storie che fanno la Storia, contrastiamo l’afasia, rifiutiamo le parole che ci mettono in bocca e ci ricamano addosso per far parlare finalmente le nostre lingue, per parlare la nostra, di lingua.

Contro una società verticistica e autoritaria, che ha sostituito la sopraffazione palese con forme di violenza più occulte ma altrettanto velenose, cerchiamo di costruire una rete, che unisca le donne con le loro differenze e unicità e sappia coinvolgere gli uomini. Tanto che quello di oggi potrebbe diventare un appuntamento annuale: ritrovarci ogni anno per vedere come procede la nostra lotta, in che condizioni stiamo, quali le conquiste e quali le criticità, perché tutte queste piazze che oggi manifestano in tutta Italia lascino spiazzato questo potere perverso che credeva di essersi impossessato anche delle nostre vite. E invece non c’è riuscito.

Nella foto di Sara Colombazzi, un momento della manifestazione di domenica 13 febbraio