Offese al corpo
Sono reduce da una serie di discussioni davvero animate, avvenute su alcuni socialnetwork che seguo, successive all’uscita dell’intervista fatta da Conchita di Gregorio a Piero Marrazzo, (l’intervista la trovate qui). Ed essa se ne sono susseguite altre relative all’uso del corpo delle donne, sulla maternità surrogata (donne che affittano l’utero), sull’uso del velo per le donne islamiche e poi ancora sulla lunga serie di pubblicità che usano, offendono, sviliscono il corpo delle donne.
Così mi sono soffermata a pensare a quanto la parola corpo sia associata a donna, e quanto sia importante il corpo delle donne.
Eppure anche gli uomini riescono a farne un uso altrettanto disinvolto e discutibile; mi basta pensare ai corpi esplosi ed espansi degli atleti del body building, spesso stravolti dall’uso di steroidi, oppure gli uomini che praticano quella straordinaria forma di prostituzione “morale”, pagata con briciole di potere o notorietà, ci si vende l’etica per una poltrona in regione o in comune. Ma una donna che usa il botox o si prostituisce è “peggiore”, viene esecrata e offesa per strada se si fa raccomandare dal politico di turno o se usa il corpo per ottenere favori.
Il corpo delle donne è importantissimo, per tutti, nel bene e nel male, e sembra diventare un principale oggetto di contesa, osservazione, fruizione.
Così le donne si ribellano, con una strenua lotta ricorrente, sempre più stringente, verso le pubblicità offensive. E non solo leggiamo della feroce critica alla chirurgia estetica, contemporanea alla difficoltà di comprendere il ruolo del velo per le donne islamiche, e poi penso anche alle critiche dirette alla maternità in età avanzata di Gianna Nannini (o alla complementare e sconfinata ammirazione), o ancora alle polemiche sugli uteri in affitto. Insomma comunque ci si muova, il perno attorno a cui tutto ruota è il corpo femminile.
Che resta eternamente sospeso nell’ambivalenza tra oggetto e soggetto.
Noi stesse non sembriamo essere in grado di smarcarci da questa ambivalenza, infatti il corpo è anche il più grosso “luogo” di potere del femminile: la maternità. E la rivendicazione di una certa sacralizzazione del corpo delle donne, da parte delle donne, forse afferisce proprio lì. Il corpo non può essere strumentalizzato, pagato, perchè è il luogo del potere femminile, e della procreazione. Non può essere offeso, o umiliato.
Gli uomini, che pure subiscono ingiurie e umiliazioni assimilabili, sembrano del tutto scevri da questi fastidi: usano il corpo e si fanno usare, prostituiscono la propria umanità con leggerezza che sarebbe quasi ironica, non fosse così grottesca. Sembrano indifferenti alla sacralizazzione dl corpo, tanto più che nessuno mai gliene chiede il conto.
Noi donne sembriamo incastrate nella doppia sacralizzazione del corpo, siamo noi per prime che proteggiamo il luogo di genesi del nostro potere sociale (non economico, non politico, non culturale, non scientifico), il potere che permette di partecipare al sociale, dando un contributo. Un altro corpo: i nostri figli.
Inoltre “qualcuno”, e da sempre, ci chiede di rendere conto di come usiamo quel “sacro”. O più banalmente stabilisce con chi/quando/come/dove possiamo avere rapporti sessuali, e di chi è il figlio che genereremo.
La domanda che ne discende è se possiamo uscire da questo vincolo? Possiamo rivendicare altre proprietà alternative al solo corpo? Possiamo sfuggire dalla rivendicazione del singolo corpo per rientrare nell’unitarietà complessa e ambivalente che ci compone, per chiedere molto di più? Il solo corpo non è uno specchietto per allodole? Faremo togliere il cartellone della modella che in mutanda maschile ci guarda dall’alto, ma non avremo altro da questo?
Lasciatemi questo dubbio.

Il corpo, ricordo, infine non è. Sono.
E vorrei concludere con una frase di E. Mounier:
Il mio corpo è più del mio corpo. Io non ho un corpo, io sono un corpo.

Ho letto con interesse e sono ragionamenti che in buona parte condivido, provo a darti una mia opinione sulle questioni che poni. Credo che il centro stia nel “punto di vista”, nell’accezione maschile in cui tutto questo si inserisce. Un corpo maschile gonfiato dagli steroidi, anche se in maniera caricaturale, risponde ad una richiesta di virilità e richiama alla forza fisica, punto centrale del conflitto tra i maschi; allo stesso modo prostituirsi per una poltrona è visto come una concessione ad una “giusta” aspirazione al comando.
Verso una donna questo, in ottica maschile, viene invece sempre visto come una concessione all’uomo. Modificarsi per piacere di più al canone maschile, coprirsi per accettare una richiesta maschile di possesso o per nascondersi ad una debolezza sempre dell’uomo (non voglio con questo esaurire un ragionamento sul velo, che tu citi, su cui non ho gli strumenti culturali per dibattere).
Uscire dal solo corpo è una cosa che credo andrebbe fatta insieme, non solo dalle donne, superare la concezione che ogni azione è una risposta ad una struttura sociale costruita solo sul desiderio e la formazione maschile della società.
Sto leggendo Ave Mary (vabbè sono agli inizi) ma mi piace risponderti anche con le sue parole:
” nello scriverlo ho pensato alle donne, a tutte quelle che conosco e in cui mi riconosco, ma anche agli uomini, sia quelli che ci vorrebbero belle e silenti, sia gli altri, che vorrebbero amarci per quello che siamo e non come tutti dicono che dovremmo essere. questo libro è scritto anche per loro. con la consapevolezza che da questa storia falsa non esce nessuno se non ci decidiamo di uscirne insieme”
per questo sono contenta che la prima risposta arrivi da un uomo. fa parte di quell’insieme che va costruito, per imparare ad essere un pò più ciò che siamo, e meno ciò che ci dicono che dovremmo essere …
Ma spesso il corpo è l’unica certezza che possiamo avere… intendo dire: in una società sempre più precaria e incerta dove nulla è scontato, può sembrare che il corpo sia l’unica cosa della vita che si riesce a gestire, almeno fino a quando sopraggiunge l’inevitabile degrado fisico. Si dice ad esempio (forse ha del fondamento) che l’anoressia dipenderebbe anche dal fatto che, inconsciamente, la persona sarebbe contenta di riuscire a condizionare il proprio corpo, come rimedio alle frustrazione di non riuscire ad avere successo in altri campi. Non credo che una ragazza pesantemente truccata o un palestrato duro si aspettino di essere ‘belli’, ma più che altro di ‘essere’ e basta.
MMM non lo so se il corpo sia una certezza, o almeno se in effetti sia percepito come tale, in adolescenza ad esempio si passa per delle fasi che tendono a rifiutarlo proprio perchè non si accettano i cambiamenti che sta subendo. Però credo che il punto dell’articolo non sia tanto se il corpo sia o meno una modo di esprimere se stessi, è ovvio che lo è, è il nostro biglietto da visita più immediato. Credo il punto stia se il corpo e in particolare per una donna, debba essere l’unico mezzo espressione o il privilegiato rispetto ad un rapportarsi al mondo come persona completa e portatrice di più complessità. Non penso che vada demonizzato l’uso del corpo come comunicazione, va smontata l’idea che sia una comunicazione per altri e non di noi stessi e che soprattutto sia solo il corpo a dire chi siamo.
MMM 🙂 soffro di una deformazione professionale (lavoro come psicomotricista) per cui fatico a pensare che mente e corpo siano entità a se stanti, e pertanto distinguibili. Ma siamo educati a distinguerle e a non capire la profondità delle interconnessioni, e a non viverne l’unitarietà.
Premesso ciò concordo con Juri, il corpo è anche comunicazione, il problema è quindi contringersi/costringere (perchè così viene insegnato) a comunicarne solo una parte. Senza corpo il pensiero non avrebbe alcuna possibilità espressive nè tantomeno la nostra individualità, il problema è fingere che il corpo possa esprimere solo parti (maternità, forza muscolare, sessualità), come se in ogni istante noi fossimo scissi … Ora Uomo Forte ora Donna Sexy ora Padre ora Madre.
Io immagino che vadano smantellati un pò di stereotipi, attorno al corpo, alla sua semplificazione di oggetto fatto di pelle, muscoli, cibo, sesso e alle funzioni basilari che attribuiamo (cibo, sesso, sonno), per complessificarlo. E restituirgli (restituirci) la nostra forma intera e soggettiva….
Juri, per essere più aderente al tema dell’articolo: per essere, come dici tu, una “persona completa e portatrice di più complessità” la completezza e la complessità ce le devi avere; altrimenti, se sei completamente vuoto, ti resta la prostituzione intesa come far possedere il tuo corpo a un altro o come servilismo (penso alla politica). Più che al corpo le offese sono all’intelligenza.
“Io non ho un corpo, io sono un corpo.”
Concordo con Monica sul fatto che siamo davanti ad un immenso problema culturale: la percezione del corpo come altro da sè, come qualcosa che posso gestire, sfuttare, controllare, rifiutare. E’ una convinzione granitica, che pochi mettono in discussione. Se però guardiamo i bambini piccoli, ci accorgiamo che essi riescono a percepirsi come un’unità. Essi non “usano” il corpo, sono un corpo.
L’aspetto più preoccupante, secondo me, di questa scissione corpo-essere è la perdita di sensibilità, dato che il corpo è ciò che mi fa entrare in relazione col mondo, che mi permette di sentire. Questa insensibilità mi permette di oggettivizzare il corpo pensando che ciò che succede al mio corpo non succeda a me.
In merito alla sacralizzazione della maternità vi segnalo un libro poco conosciuto di Margaret Atwood “Il racconto dell’ancella”, dove in un’ipotetica società futura proprio la sacralizzazione della maternità autorizza il totale controllo dei corpi di alcune donne, le ancelle, identificate da un’unica funzione, quella riproduttiva.
Grazie Monica, interessantissimo e ricco di spunti!
Interessante la visione di Igor … che mi invoglia a chiedere
cosa è la complessità?
e comunque resta ancora aperta la questione della scissione tra mente e corpo, e quindi la visione decomplessificata delle persone ….
oggi una conoscente di facebook ha fatto pervenire su un gruppo questo link http://it.wikipedia.org/wiki/Donna_Haraway mi sembra possa aiutarci a complessificare la questione.
@marcella grazie dello spunto … 🙂
Questo post solleva un problema immenso. Mi sono sempre chiesta quale fosse stata l’origine del dominio di genere che gli uomini hanno e continuano ad esercitare sulle donne in quasi tutte le culture. I vari studiosi mi sembra siano tutti concordi nel ritenere che il motivo principe è il potere della donne legato alla capacità riproduttiva, e la frustrazione che genera nell’uomo l’incertezza della paternità (parlo dell’uomo primitivo ma mi sembra che la sua eredità genetica sia ancora viva!). La richiesta di superamento di certi stereotipi da parte di un numero sempre più folto di donne è profondamente legata alla nostra natura primordiale, dove non esisteva sottomissione ma ruolo biologico, totalmente complemetare, come natura insegna!
La trieste realtà è che, a volte, gli uomini e le donne prendono il peggio dell’altro sesso…
http://controcornice.it/2011/08/31/linvoluzione-della-specie/
Dico la mia 🙂
Non penso che quando si parla di persone complesse vada dato un giudizio di merito su questa complessità. Quello che intendevo io era un individuo che si rapporta al mondo non utilizzando soltanto il corpo come messaggio e come ricevente degli stimoli esterni, ma che si pone come persona completa, mettendo nel suo messaggio verso il mondo sia il suo corpo sia l’insieme del suo essere persona ed individuo.
Penso che la scissione mente corpo avvenga quando si sceglie, o ci viene imposto di scegliere, di abdicare ad uno di questi come nostra parte identitaria e penso che questo, in una società come quella occidentale e italiana particolarmente, venga imposto molto più spesso alle donne.
Se ogni media riporta come valore principale della figura femminile l’immagine, allora questo ti porta ad abdicare, anche involontariamente, al tuo valutarti come essere mente. E nello stesso tempo impone una scala di valore che impone agli altri di leggerti in quella maniera. Il punto dovrebbe stare nel rompere questo schema fatto di un valore solo esteriore e quasi mai di uno più mentale.
@Monica Cristina Massola
La ‘complessità’ in questo caso credo sia il contrario della banalità e dell’appiattimento su di un particolare, una ricchezza interiore o anche esteriore. La pubblicità ad esempio (ma forse quasi tutta la tv) vive sulle semplificazioni,e le veline, olgettine e simili insieme con relative varianti maschili, sono spot viventi. Non è da oggi che i mass media hanno assunto una deriva pubbicitaria.
Quando Donne Pensanti fa delle campagne contro le pubblicità, ha assolutamente ragione ma il vero problema è la pubblicità stessa e i suoi meccanismi. Possiamo prendercela per le freddure del pornostar sull’abbandono di animali e fidanzate, ma non possiamo sperare molto di più da Rocco Siffredi. Non dico che sia per forza uno scemo totale, ma se io pubblicitario prendo Siffredi come testimobial NON è per fargli dire qualcosa di serio. Il corpo di per sè, fuori da quel contesto può assumere valori molto diversim altrimenti ci scandalizzeremo anche di fronte alla Maya desnuda.
Perché le culture patriarcali impongono alle donne di essere coperte dalla testa ai piedi? Secondo me si tratta di una forma di maschilismo estrema che ha timore del potere seduttivo della donna (oltre a tante altre cose ovviamente). Addirittura nell’antichità molte donne emancipate e intelligenti ( e temute) erano prostitute.
Oggi invece l’immagine del corpo veicola o prodotti commerciali o il potere maschile. Per quanti soldi gli abbiano estorto, le olgettine erano succubi del potere di Berlusconi e non il contrario.
Non credo il problema si possa risolvere alla pubblicità o ai media come grandi mostri cattivi, sono appunto media che veicolano concetti che invece sono propri di un modello di società e non del media in quanto tale.
In questo non penso che il messaggio della comunicazione più generalista sia semplice, anzi, è profondamente complesso e mirato ad indirizzare la gente, tanto che il risultato è stato ottimo e direi quasi completo.
Utilizza linguaggi semplici per creare necessità e aspirazioni che vanno tutte nella stessa direzione.
Il lavoro di DONNE PENSANTI è importante proprio in questo, nel riportare un messaggio che sembra semplice alla sua reale complessità di indicazione politica e sociale.
Io invece Juri sono sempre più convinto che il medium sia il messaggio. ‘Pubblicità progresso’ è un assurdo ossimoro, o fai pubblicità o fai informazione. Le campagne di Donne Pensanti vanno bene come denuncia, ma non pensiamo che la tv commerciale possa fare un altro uso del corpo. Non è questione di demonizzare, non possiamo chiederle di utilizzare il nudo come fa certo teatro o certo cinema. Perché andrebbe contro se stessa: una donna emancipata non lo è solo dal patriarcato, ma anche e forse soprattutto dal dominio dei consumi (che è una meta di emancipazione di entrambi i generi). Penso che associazione come Donne Pensanti possano davvero completare la loro opera quando la denuncia è integrata da una ‘agenda delle donne’ (non ho trovato definizione migliore) che sia di problemi reali e non imposta subdolamente: ho seri dubbi che la possano offrire i mass media.
Aggiungo e ci metto il carico 🙂 come dicono a Bologna. Penso che la questione sia ancora più ampia, e che non se ci si limita ad un’agenda delle donne, che presuppone già nel nome un’estraneità degli uomini si va poco lontano. Il punto è inserire il genere in un sistema generale in cui non si può pensare di “risolvere” un aspetto lasciando intoccati gli altri: diritti di cittadinanza, lavoro, questioni di genere ecc vanno messi sullo stesso piano di importanza, per creare una nuova agenda di tutti che ne tenga conto realmente e non solo nominalmente. Questo si può fare, ma per farlo si deve, secondo me, coinvolgere e rendere consapevoli gli uomini del loro ruolo di genere e di quanto sia in realtà castrante e sminuente come persone anche per loro questa tipo di società che hanno/abbiamo costruito.
Sul media messaggio non sono d’accordo, credo che il media sia un mezzo che può essere usato e nobilitato o svalutato a seconda di chi ne usufruisce. Sono convinto che ci siano linguaggi e limiti propri di ogni media (ad esempio sono iper verboso per internet :-), ma che questi possano essere piegati all’espressione di più concetti anche antitetici tra loro.
Vorrei però rilanciare una parte del tema che ho introdotto
“Noi donne sembriamo incastrate nella doppia sacralizzazione del corpo, siamo noi per prime che proteggiamo il luogo di genesi del nostro potere sociale (non economico, non politico, non culturale, non scientifico), il potere che permette di partecipare al sociale, dando un contributo. Un altro corpo: i nostri figli.”
Perciò chiedo in particolare a voi uomini, se la sacralizzazione del corpo vostro, in qualità di uomini esista o la percepiate; e se esista – nella percezione maschile – come espressione voluta/imposta del corpo femminile.
perchè se così fosse questo sarebbe un punto di partenza … grazie monica
QUi rispondo assolutamente a titolo di esperienza personale.
Penso che più che di una sacralizzazione del corpo, per un uomo ci sia una sacralizzazione del ruolo, ottenuta a volte anche attraverso il corpo.
E credo che questo si riversi spesso, anche sulla visione che abbiamo del corpo di una donna, che serve a confermare un ruolo sociale, come aggiunta e conferma di quello maschile.
Penso, ma vado a ruota libera senza nessuna base teorica, che la ricerca dell’uomo di un ruolo dominante lo porti a crearsi intorno un’immagine o una sofferenza quando questa non c’è, che dimostri questo ruolo e in questo anche la donna viene travolta.
Juri, è una chiave di lettura molto interessante sia sulla sacralizzazione del ruolo che l’interpretazione (quasi in senso “attoriale” – ma per altri versi accade anche alle donne) della sofferenza del ruolo …