Le parole fanno male #1
Lo scrivere e il leggere il web rende le notizie così rapidamente obsolete che chi di solito si informa in rete non legge più i giornali o non guarda più i telegiornali per informarsi: lo fa per ricordarsi di cose già sapute o per la curiosità di capire cosa verrà eliminato da media molto più “pilotati” del web.
Purtroppo questa velocità digestiva delle notizie impedisce un utilissimo esercizio: la riflessione sul linguaggio con cui sono date quelle notizie. Questo perché, nel fermare l’attenzione sulla notizia in sé, si pensa che anche la riflessioni sulla comunicazione della notizia, sul suo linguaggio, sia già obsoleta.
Beh, non è affatto così. Vi chiedo di fermarvi a riflettere molto più spesso, perché è un’attività molto diversa e che richiede non la velocità e l’abilità del surfista, ma – tanto per rimanere nella metafora marina tanto cara alla rete – la pazienza e la cura del dragamine. Perché molte parole, proprio come delle mine, rimangono lì, sul fondo, e solo quando ci siamo passati sopra fanno sentire la loro carica. Ma ormai è tardi.
Una di queste parole che proprio non mi piace s’è presa la prima pagina di un giornale il 21 settembre scorso.
Come succede sempre in questi casi, la parola s’è diffusa viralmente: eccola qui usata per tutt’altra notizia appena due giorni dopo quell’esordio in prima pagina, su un sito d’informazione che non ha nulla in comune col giornale precedente, e usata per tutt’altra notizia. Come vi sarà facile controllare attraverso Google, quella parola sta vivendo un vero boom.
Quella parola è: “sputtanato”. Il Lotti (Dizionario degli insulti, 1984) ci dice che il significato è
privato della dignità, della reputazione, della credibilità; assolutamente indegno di stima o considerazione. Il termine vale letteralmente ‘reso (s- intensivo-durativo) come puttana’, esposto,cioè, additato al pubblico disonore.
Quindi un bell’insulto sessista. Derivato da un altro insulto sessista. Siamo alla violenza sessista nel linguaggio pure di secondo grado, tramite derivati. Ed usare quell’insulto sessista è una scelta deliberata e consapevole di chi parla e di chi scrive, perché i sinonimi e le parafrasi non sessiste abbondano; ecco qui un elenco pieno di sfumature diverse da utilizzare: additare a ludibrio, calpestare, calunniare, denigrare, dequalificare, diffamare, dir male di, discreditare, disonorare, infamare, mettere in piazza, parlar male di, rovinare, sbugiardare, screditare, smascherare, smentire, squalificare, svergognare, svilire, vilipendere.
Chi utilizza quella parola – come chiunque utilizza un linguaggio sessista – commette e perpetua una violenza. Usare il linguaggio è un’azione, un gesto come tutti gli altri. Non servono a niente ipocrite scuse come “l’ho detto per scherzo” o “volevo dire che”, perché con il sessismo non si scherza e perché c’è sicuramente un altro modo di dire le cose senza ferire nessuno. Perché è tanto difficile mettersi in testa che dire “sputtanato” significa dare una sberla in faccia a tutte le donne (cioè a più di mezza umanità) mentre è facile immaginare che a dire “negro” o “terrone” si offende qualcuno?
Io lo so il perché. Questione di cultura: tutti ricordiamo le battaglie civili – e i morti ammazzati – per la lotta contro il razzismo, come tutti ricordiamo – ci pensa il governo, casomai fossimo distratti – che i pregiudizi razziali riguardano anche il luogo di nascita all’interno dello stesso paese. Invece di una cultura antisessista non parla nessuno. Eppure da anni questo paese, proprio per questo motivo, viene continuamente screditato.
mumble mumble….questo post offre molti spunti per una riflessione articolata sia sul linguaggio comune e imperante sia sulla scrittura del giornalismo e sui temi del giornalismo… hai lanciato un bel sasso nello stagno…mumble mumble
Ho condiviso diversi interventi di Lorenzo Gasperini, ma sono in disaccordo profondo con questo. Partiamo dal titolo di Libero (‘Silvio sputtanato da PM incompetenti’). La violenza sta nello ‘sputtanato’? Certo non è esattamente un esempio di bello scrivere. Ma secondo me invece nella parola ‘incompetenti’ sta la vera violenza, perché vuole fare passare per incapaci dei magistrati che invece sarebbero ‘incompetenti’ solo per ragioni territoriali: una gravissima distorsione della realtà.
Questa cosa mi ricorda la polemica che alcuni fecero con Travaglio perché definì Ritanna Armeni “accucciata sulle ginocchia di Ferrara” (quando i due conducevano Otto e mezzo). Ferrara passava il tempo a dire alla collega carinerie del tipo ‘Insomma stai zitta!’, ‘Smettila di ridire!’, lei ubbidiva docilmente e il maschilista della situazione era diventato Travaglio perché usava la parola ‘accucciata’.
Esistono sessismi espliciti, come dire ‘troia’ a una donna solo perché non d’accordo con me, e altri si sono lessicalizzati e nessuno ne sa più l’orine. Il suffisso -essa per indicare la professione femminile (es. ‘avvocatessa’), ad esempio, aveva in origine un senso spregiativo. Se dico che Belpietro si è sputtanato con un titolo simile non sto prendendo a sberle nessuna donna. Piuttosto, lo sto facendo se ricorro al termine ‘escort’ in luogo di ‘prostituta’, perché è il tentativo di nobilitare la professione e soprattutto chi vi fa ricorso.
Il politically correct liguistico ha senso quando utilizzato per evitare espressioni che suonano come offesa per l’interlocutore. Altrimenti diventa un semplice esercizio di stile.
Mi dispiace Igor, ma non la penso come te. Il contenuto dell’articolo di Belpietro non mi interessa, a me interessa come esempio del fatto che certe parole entrano nell’abitudine linguistica nell’indifferenza generale. Quella parola è un insulto sessista di per sé, non in ragione del contesto nella quale la si usa, perché nasce come tale – la sua etimologia è evidente. Il ‘politically correct’ non c’entra davvero nulla, in questo caso, perché il contesto agisce dopo l’impressione sensibile, ed è già tardi.
Stesso discorso per escort e prostituta, che – mi duole dirtelo – non sono sinonimi, e non sono insulti sessisti di per sé. In questo caso l’intenzione conta, ed è esplicita; quindi facilmente raggirabile per chi vuole stare attento.
Invece, usare parole come “sputtanato” fa male a qualcuno a prescindere, perché la parola nasce come insulto e non puoi cambiarne la storia passata correggendo il contesto attuale. Trovo molto difficile credere che parole come “negro” o “terrone” potranno mai usarsi tranquillamente, definendo il contesto. Io mi trovo in difficoltà anche a pronunciare “ebreo”, solo per i mostruosi abbinamenti cui è stata sottoposta in passato questa parola.
Igor, nasciamo in un linguaggio che è già stato sempre parlato da altri, e non si può fare finta che le parole non abbiano una specifica provenienza e non siano già state usate con un particolare scopo. Possiamo però aggirare l’insulto usando tutte le risorse di una lingua. Era questo il mio invito.
“Negro” e “terrone” sono parole volutamente insultanti che un una persona di colore o meridionale non userebbe mai per identificare se stesso. “Sputtanato” lo usano uomini e donne indifferentemente, il riferimento sessista è ormai lessicalizzato. Oppure i bolognesi (le bolognesi) che dicono ‘sochmel’ (non so esattamente come scriverlo) li bolliamo a prescindere come sessisti perché usano questo intercalare storico del loro dialetto, dal momento che nasce in riferimento al sesso orale?
Quanto alla parola ‘ebreo’ non ho nessuna remorla ad utilizzarla quando designa gli ebrei-giudei, se qualche idiota la usa come insulto peggio per lui.
E scusa se insisto ma trovo anche sconcertante che l’unica cosa che trovi mostruosa del titolo di Libero è la parola ‘sputtanato’. Se invece scriveva “Silvio diffamato da PM incompetenti” andava tutto bene? Mi sembra un po’ limitarsi a osservare il dito invece della luna.
Quanto a ‘escort’ e ‘prostituta’ so bene che non sono insulti, ma so anche che nel linguaggio dei media l’uso di un termine in luogo dell’altro assume un effetto molto importante sul pubblico. Al di là di quello che dice il Devoto-Oli (e che importa relativamente poco ai mass media) se io accosto qualcuno alla prostituzione o al più esotico (e vago) fenomeno delle escort, gli effetti sono MOLTO diversi, vedi i differenti esiti dei casi Marrazzo e Berlusconi.
sì, andava tutto bene. “Silvio diffamato dai pm” avrebbe mantenuto il linguaggio immune da toni sboccacciati da infima osteria, come in effetti dovrebbe essere lo stile di chi per mestiere ha scelto di dedicarsi all’in-formazione. Con questa storia del dito e della luna ultimamente non se ne può più, me la ritrovo da tutte le parti. Ogni tanto non fa male guardare anche il dito, dove lo stiamo puntando, perchè se non lo direzioniamo bene non indicherà mai la luna e, per questo, non potremo mai vedere nemmeno quella.
Ma compito del giornalista dovrebbe anche essere attenersi ai fatti. Ingentilisci pure il titolo e resta comunque una spudorata balla. Sta di fatto che Belpietro, uno che è stato sessista miliardi di volte (con parole evidentemente meno ‘scandalose’) nell’occasione in cui voleva ‘solo’ calunniare i magistrati lo accusiamo di sessismo perché ha usato la parola ‘sputtanare’. Non sto dicendo che se fossi un giornalista utilizzerei certi termini i meno che mai sbattendoli a caratteri cubitali in prima pagina. Ma se adesso dico la frase: “Il governo sta sputtanando le casse del paese” (che in effetti posso aver detto spesso volentieri)non ci sto a passare per uno che da “una sberla in faccia a tutte le donne” o essere accomunato a chi utilizza termini come ‘terrone’ o ‘negro’.
Igor, non ho capito perché insisti con l’argomento del contenuto: il linguaggio non è fatto solo di quello. Le parole non valgono solo per quello che “vogliono dire”, e mi duole vedere che non ti va neanche un po’ di provare a capire. I titoli del “Giornale” sono tutti ipocriti perché è ipocrita il giornale; non c’è bisogno di dirlo. A me premeva di sottolineare proprio il fenomeno che per te è indifferente: che un insulto sessista è diventato un luogo comune, una parola che non fa più né caldo né freddo. Mi spiace dirlo, Igor, ma sei proprio l’esempio che cercavo: una persona che non si rende più conto di cosa sono le parole. Tu ragioni solo sui contenuti, e non è tutto qui; le parole non sono indifferenti e scambiabili tra solo solo grazie a “quello che significano”. Se usi insulti sessisti, sei sessista, cioè razzista. Può non piacerti, ma è così. Non sei tu a “essere accomunato”: è il tuo linguaggio che diventa identico a quello sessista. Sta a te scegliere, e se non lo fai, o non ti interessa (libero di farlo) o sei del tutto indifferente (altra libera possibilità). Ma non dire che quel linguaggio non esiste, e non dire che non lo usi quando invece lo fai.
Anche a te sfugge qualcosa. Non ho mai incitato a utilizzare termini sessisti o razzisti e meno che mai a usare ‘sputtanato’ a spron battuto, ti ho solo invitato a riflettere su quanto certe espressioni si siano lessicalizzate (con offese che non sono più riconosciute tali o di cui si è persa l’origine) prima di trinciare giudizi pesantissimi su chi le usa. Altrimenti come ho già detto le migliaia di bolgnesi uomini e donne che usano l’intercalare ‘sochmel’ sono dei violentatori virtuali. Essere più realisti del re non credo che dia contributi, altrimenti preparati a restringere parecchio il tuo vocabolario: le parole con il suffisso -essa ma anche termini come ‘moglie’. La mulier latina era la ‘donna’, evidentemente alla popolazione medievale sembrava normale che una donna dovesse essere anche sposata e quindi il termine ha assunto l’accezione attuale; spiegazione che suona terribilmente sessista.
Come vedi l’analisi linguistica non mi è poi così estranea. E mentre tu cercavi delle porcherie su Libero – cioé sostanzialmente sparavi sulla Croce Rossa – il quipresente sessista-razzista-analfabeta nei post precedenti ha constatato alcune storture nella prosa forbita di Nichi Vendola e del presidente Napolitano riguardo la strage di Barletta.
Siccome hai espresso giudizi di valore nei miei riguardi – e non c’è nessun problema, visto che lo hai fatto mettendoci la faccia – vorrei dire qualcosa anche io.
Da giovane sono stato molto influenzato dal movimento anarcho-punk, non ho mai conosciuto persone così sinceramente impegnate sui temi della pace, della lotta al razzismo e alla discriminazione. Poi però nessuno voleva accomunarsi con noi, perché arrivava il Gasparrini di turno a bollarci come violenti: per il nostro aspetto, la nostra musica, e il nostro linguaggio. E non dicevamo ‘negro’, ‘terrone’ o ‘simili’, mentre ‘sputtanato’ e simili potevano effettivamente rientrare. Era un po’ strano perché queste persone, sempre solerti nel condannarci, sembravano avere gli occhi foderati di prosciutto su questioni molto più evidenti. Ricordo i giovani dei DS e dei Verdi che sostenevano la guerra (con belle parole, non c’è che dire) ma che accusavano di violenza noi, dove alcuni avevano ritrosia persino nell’uccidere le zanzare figuriamoci nel fare del male alla gente.
Non mi garba molto neppure passare per intollerante. Mi sono sempre appassionato ai temi di Donnepensanti, che a dire il vero segue un’analisi molto ‘di genere’ di cui non condivido poi molto. Ma ho sempre apprezzato passione, impegno e sincerità, rivedo nell’associazione lo spirito dell’amica Silvia Cavalieri. Forse è sbagliato, forse guardo troppo la ‘sostanza’ forse – ma non credo – dovrei puntare il dito su ciò che mi divide.
Se tu invece parti dall’idea che chi usa ‘sputtanato’ “prende a sberle a milioni di donne” (senza entrare nel merito dei discorsi, che hai detto non interessarti) ho seri dubbi che tu possa confrontarti seriamente con chi la pensa diversamente da te. Può non piacerti ma è così.
Igor, purtroppo non fai che confermare una cosa molto nota: finché qualche ipocrita continuerà a pensare che la guerra si possa fermare facendo impugnare le armi ai “buoni”, la guerra non finirà.
Trovo molto interessante che i nostri curricula siano molto simili, ma la mia esperienza di allora è finita proprio perché arrivavano i Giussani a dire che quello che facevano loro “non è lo stesso”. E vabbé Igor, allora sei meglio tu.
(Sì, “socmel” è una espressione sessista, e lo rimane anche se la usano ridendo in milioni; anche se tutti rubano, il furto rimane un reato.)
Quindi: se usi il linguaggio di Belpietro, caro Igor, si vede che non ne sai usare un altro, e quindi non stupirti se arriva il Gasparrini di turno a dirti che somigli a lui: quella parola l’hai scelta tu, è una tua responsabilità. Esattamente come quella parola è usata a sinistra, nell’anarchia, anche da te che non hai – a parte il linguaggio – niente di simile a Belpietro. Potresti evidentemente fare altrimenti, ma non vedi perché farlo, e io non posso farci davvero niente – si vede che non ti interessa.
Come ti ho detto, è proprio questo il fenomeno che mi interessa mettere in evidenza in questo come nei miei post che seguiranno: il linguaggio sessista non appartiene a una parte politica in particolare, è trasversale alla cultura politica come tutte le altre forme di violenza di genere. E le tue parole non fanno che confermarlo. Non sei tu a decidere quanto male fa una parola, lei c’era prima di te e “parla” da prima di te.
Chi legge vede la differenza tra me e te, e tanto mi basta: io ho giudicato il tuo linguaggio, non te. E’ quello che ti ha reso un sessista simile a Belpietro, non la tua storia che non conosco e non conta se il tuo linguaggio è quello. Adesso che hai scritto tanto, quella somiglianza – ma è un parere personale – si nota ancora di più, malgrado la vostra storia tanto differente. Potenza del linguaggio, evidentemente.
Oh, per la cronaca: e cosa sarebbe confrontarsi seriamente con chi la pensa diversamente da me, se non questo che stiamo facendo? Mah. Contento te.
Replico per l’ultima volta perché questa situazione sta un po’ prendendo la piega di un flame, e vorrei evitarlo in quanto su questo sito mi ritengo un ospite e non voglio mancare di rispetto. Evito quindi inutili polemiche sul fatto che mi sentirei migliore degli altri e che sarei una specie di sosia di Belpietro (quella sulla guerra dei buoni invece non l’ho proprio capita). Giusto per la cronaca, siccome l’immagine che sta venendo fuori di me è quella di un
razzista che pubblicamente impreca, rutta e picchia le donne, vorrei tranquilizzare tutti sul fatto che sono cresciuto in una famiglia dove i genitori mi hanno sempre controllato severamente sul linguaggio e non ho avuto influssi dialettali per cui non utilizzo espressioni particolarmente colorite. Non mi sono spontanee, ma ciò deriva come ho detto dalla mia educazione che ho apprezzato ma non ritengo l’unica e meno che mai la migliore in assoluto; ho conosciuto persone per cui certe espressioni volgari erano anche sinonimo del massimo della spontaneità, e le ho amate moltissimo (anche se non PER questa ragione specifica).
Per di più sono anche un professore di italiano e mi tengo sempre controllato perché a scuola gli studenti ti possono far arrabbiare e per nessuna ragione possono scapparti parole fuori luogo.
In definitiva, anche se forse Lorenzo dirà che pecco di superbia, nel caso vi trovaste costretti a passare del tempo con me o Belpietro vi consiglierei di scegliere il sottoscritto – vi assicuro che è il male minore, a prescindere che mi possa capitare di dire ‘sputtanato’.
Quanto al sochmel, a differenza di Lorenzo spero che il termine non muoia (cosa che non auguro invece a robe come ‘negro’ e ‘terrone’) e non venga sostituito da ‘poffarbacco’, perché un è simbolo della bolognesità autentica. Lui ci vede solo un insulto sessista, mentre io condivido l’opinione di Riccomini secondo cui « I bolognesi hanno sempre nutrito un atteggiamento conciliante e sorridente nei confronti dei tabù.
Bologna è la città notissima in tutt’Italia perché l’intercalare di sorpresa allude ad un atto esplicitamente sessuale. Il che significa una sola cosa: che quell’atto sessuale, così esplicito, qui era considerato con un sorriso». E se le donne bolognesi storicamente sono sempre state tra le più emancipate di Italia, non dico che sia merito del sochmel ma sicuramente di questa capacità di affrontare i tabù, anche e soprattutto quello sessuale. Ed è anche difficile negare che, se avviene tra persone mature, consapevoli e consezienti, la fellatio sia una gran bella cosa.
In secondo luogo, quella che tu Lorenzo chiami ‘analisi del linguaggio’ è qualcosa di molto più minimale, la denuncia della parola ‘sconcia’. Le vere violenze verbali, quelle che ad esempio hanno trasformato i lavoratori in ‘risorse umane’ e le vittime di guerra in ‘danni collaterali’, operano su piani molto più raffinati e insidiosi e si smontano solo entrando nella sostanza dei
fatti. Tu invece vuoi cancellare a prescindere l’espressività del linguaggio,
che quasi sempre trae spunto da elementi coloriti e negativamente connotati, sessismo compreso. Ma un conto è voler stigmatizzare l’espressività che diventa insulto di intere categorie di persone (‘negro’, ‘terrone’, ‘frocio’…) un altro è volerla radiare del tutto per sostituirla tout court con termini
asettici solo per la paranoia di ritrovarci doppi sensi o significati oramai persi nel tempo. La ‘volgarità’, nel senso autentico del termine, è appartenenza al parlare del popolo. Che debba comparire sui quotidiani di informazione è discutibile (che dovrebbero rappresentare un momento di intellettualità e non di spontaneità), ma lo è anche censurarla da ogni manifestazione linguistica. A meno che pure il povero De Andrè non assomigli a Belpietro, in Via del Campo ci può essere solo una ‘puttana’ e non una ‘prostituta’. E a Bologna, tra i bolognesi e le bolognesi, il sochmel vince di mille secoli il silenzio.
Sono d’accordo sul chiudere qui questo che non è un flame. Anch’io ci tengo a chiarire qualcosa, e cioè:
– l’immagine di sé che il prof. Giussani ci tiene a non far pensare a nessuno se l’è evidentemente inventata lui, come si può leggere più sopra nei precedenti interventi;
– io, sempre come si legge qui sopra, non mi permetto di sapere come sono le donne della mia città, perché non le conosco una per una e perché, in quanto uomo, ammetto tutti i miei limiti a parlare di emancipazione sessuale di un genere che non è il mio;
– ma soprattutto mi preme, per correttezza scientifica, dire che la mia non è affatto un’analisi linguistica, che non è nelle mie corde, ma estetica: quello che ho insegnato in diverse università italiane (dopo il dottorato conseguito a Bologna, tanto per dire) per circa dieci anni.