Quello che non ho: la parola delle donne!

Quello che non (ho) il programma di Fabio Fazio e Roberto Saviano sul valore educativo della parola taglia la parola delle donne.

Nel programma migrato dalla Rai su La 7, ieri sera sono interventuti Pierfrancesco Favino, Gad Lerner, Marco Travaglio, Pupi Avati, Paolo Rossi, Erri de Luca, Raphael Gualazzi….. un androceo, uno spazio di uomini fatte salve la partecipazioni di Liliam Azam Zanganeh e il ruolo del tutto marginale di Luciana Littizzetto ed Elisa, ospiti fisse ma con funzione di cornici o stacchetto.

Antichi e moderni androcei e lo spazio alle donne resta interdetto o ristretto quando va bene.

Noi italiane siamo abituate o dovrei dire educate ad essere figure marginali quando si tratta di assumere la parola, anche da quella agorà che è la televisione, luogo virtuale di rappresentazione della società , proiezione di modelli di relazione; la parola che educa, che fa riflettere, e che dona visioni sul mondo.

A Quello che (non) ho ieri sera, sono entrati in scena gli uomini, uno dopo l’altro a parlare di relazione con i figli, di guerra, di ingiustizie, di società, di morte e vita, di diritti, di lavoro, di Costituzione e libertà. Hanno parlato di mondo e della loro relazione col mondo. Hanno parlato anche di donne, hanno parlato per le donne. Ma le donne erano in minoranza imbarazzante.

Ancora una volta.

Alle donne tuttalpiù quando è concesso spazio di parola , come è accaduto anche ieri sera, è per parlare di sentimenti, di relazioni di amore o dei loro corpi.

Che la donna parli ma che sia per amore. Amore per l’uomo tutta più per i figli. Che parli d’amore e accolga, perché le parole d’amore di una donna sono anche un magnifico specchio donato al narcisismo maschile che in quelle parole d’ amore può sentirsi accolto e rimirarsi. E se poi una donna parla è per dire del suo corpo o dei corpi degli altri, in chiave comica o drammatica, ma resta lì nella prigione della parola corpo dove è stata confinata per millenni. Ed è in quello spazio che ci mettiamo anche da sole. Luciana Littizzetto per commentare la parola donna non è riuscita a fare a meno di far volare mutande, con quel salto finale grossolano a parlar di femminicidi, sbagliandone anche i numeri.

E così sia: nella agorà televisiva paesana, anche in quella di Quello che (non) ho , il mondo della donna è il suo corpo e tuttalpiù è su quello che può prendere parola. Non sul mondo.

Stasera ci sarà di nuovo la passerella di uomini che paiono essere così principi e artefici del ruolo educativo della parola. Stasera ci sarà nuovamente l’androceo, come se la parola sul mondo e la visione sul mondo debba sempre essere rappresentata come unicamente maschile.

Paese di maschi ammalati di narcisismo l’Italia, di narcisismo patologico maschile e di Eco in mutande.

Paese di disoccupazione femminile, dimissioni in bianco, Paese di festa di ‘mammà’ con maternità negate o che si vuole imporre al grido di ‘donne assassine’ con il sindaco in fascia tricolore che sfila accanto agli insulti alle donne sue elettrici, Paese di donne assenti nei luoghi della politica, Paese di tette e culi e fiche esposte in televisione o nei cartelloni pubblicitari, Paese di commesse con la spilla addosso dove c’è scritto ‘Averla è facile’, Paese in classifica nel Gender Gap dopo i Paesi del terzo mondo, Paese di femminicidi e di parola negata alle donne.

A Roberto Saviano chiederei: ma a che serve firmare appelli contro i femminicidi se poi non si lascia spazio alla parola e al pensiero delle donne?

E’ anche per questo che vengono ammazzate, non per loro corpi come si crede, ma perché è insopportabile la loro parola e il loro pensiero.