Appunti di educazione al genere 1. Di cosa stiamo parlando

Giovedì scorso, con Juri Guidi, abbiamo fatto un incontro di formazione sull’educazione al genere con le ragazze e i ragazzi che stanno facendo il tirocinio universitario presso la cooperativa dove lavoro come educatrice. Abbiamo raccolto un po’ di materiale interessante che condivideremo pian piano con voi qui sul nostro sito.

Una raccolta di saggi sul tema, veramente interessante anche perché spiega nel dettaglio attività concrete da affrontare in contesto educativo e/o scolastico, è Educare al genere – Riflessioni e strumenti per articolare la complessità. Le curatrici, Cristina Gamberi, Maria Agnese Maio e Giulia Selmi, sono le responsabili di un progetto molto bello: il Progetto Alice, che, citiamo direttamente dal loro sito, “si prefigge l’obiettivo di promuovere, attraverso le proprie attività, lo sviluppo di una cittadinanza attiva, basata sul rispetto e la valorizzazione delle differenze culturali e di genere, partendo dall’ambito educativo e della formazione, sia a ragazzi e ragazzi, che insegnanti, docenti, educatori e educatrici”.

Nell’introduzione alla raccolta troviamo che la categoria di genere è un piano privilegiato per promuovere una cultura di valorizzazione delle diversità che contrasti la logica della neutralità che non rispetta le differenze e produce disuguaglianze. Partendo dal presupposto che ognuno di noi è un “crocevia di diversità”, possiamo dire che quella di genere è una sorta di differenza di base. Attraversarne insieme a persone molto giovani come gli studenti della scuola secondaria, i modellamenti imposti, in un’ottica decostruttiva, è, al tempo stesso, un privilegio, perché dà la possibilità di incidere sul percorso formativo di quelli che saranno i futuri cittadini del nostro paese (o di altri, poco importa),e una responsabilità, perché occorre saper cogliere l’opportunità di offrire una pluralità di fare educazione per disfare il genere così come ci è stato inculcato, raccontando, in maniera creativa e stimolante, strade alternative per la ricerca di sé. Il compito educativo si fa così relazione maieutica, recuperando l’etimologia di educazione, da ex-ducere: condurre fuori, portare a una consapevolezza di sé e del mondo che parte dalle individualità e le valorizza.

Per fare questo occorre che anche gli educatori sappiano mettersi in gioco: si rieduchino, in un certo senso. Prendano, cioè, coscienza del loro essere soggettività incarnate, con la loro fisicità sessuata, la loro storia, i loro dubbi, i loro limiti. Questo lo si può fare soltanto sottraendosi alla tentazione – tradizionalmente così radicata nella realtà educativa (a lungo eminentemente scolastica) del nostro paese – di essere neutrali, evitando, in altre parole, di proporre modelli di apprendimento e di sviluppo a-sessuati. Occorre che gli educatori facciano capire “da che luogo parlano”, come si collocano nella realtà. E per fare questo bisogna che prendano confidenza con i propri vissuti, le proprie emozioni, le proprie mancanze. Fare educazione al genere ha senso, secondo le autrici, in una prospettiva di trasformazione, dentro a un progetto politico per cambiare la realtà. Fare educazione al genere è una scelta politica che sa scommettere sull’utopia: lavoro in vista di un luogo che non c’è e che non so nemmeno se arriverò a vedere ma un po’ me lo immagino e comincio a gettarne i semi qui e ora, a costruirne le fondamenta.

Educare al genere è necessario perché è necessario un senso critico affinato per non lasciarsi irretire dall’azione omologante e concertata che molte realtà con cui ragazze e ragazzi hanno quotidianamente a che fare opera dentro al percorso di formazione identitaria in cui ognuno di loro si sta avventurando: televisioni, polisportive, parrocchie, gruppi informali. Gli stereotipi e le costrizioni si insinuano ovunque. Per fare educazione al genere, scrivono le autrici, bisogna coltivare una sana vocazione alla decostruzione: offrire strumenti di giudizio in un’ottica di sgretolamento dei modelli vigenti, perché il genere non è un destino scritto nei corpi ma è frutto di una complessa “ecologia di fattori”. [continua]

 

Immagine: August Allebé – De vlinders

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