Eduardo Galeano e Camille Claudel

A raccontare il viaggio in Argentina e Cile, che ho fatto con la mia amica Beatrice e da cui sono tornata quattro giorni fa, comincio da una coincidenza che mi ha fatto contenta subito prima di partire, ultima di una serie così lunga che alla fine mi ero quasi abituata a quel concatenarsi fluido e amichevole di corriere che partivano proprio cinque minuti dopo il nostro rocambolesco arrivo in stazione, tunnel andini pieni di neve che si aprivano giusto quelle due ore in cui eravamo giunte su al passo pronte a passare la frontiera, incontri buffi, commoventi o altamente improbabili, casuali e necessari insieme.

 

Eravamo arrivate in Sudamerica da pochissimi giorni quando, a Mendoza, nell’edicola davanti all’ostello in cui stavamo, mi era caduto l’occhio su un libro di Eduardo Galeano che non avevo mai sentito prima: Mujeres. Titolo allettante fra l’altro: leggo la quarta ed ecco che scopro che fra i numerosi ritratti di donne che, una pagina l’una, si tratteggiano qui, ce n’è uno della scultrice Camille Claudel.

Non conosco molto di Galeano, ma ho per lui una stima che trabocca direttamente dal cuore che mi spinge verso l’alto facendomi sentire la gabbia toracica troppo stretta quando leggo le sue cose. All’opera e alla storia di Camille Claudel, invece, mi sono avvicinata da circa un paio d’anni sentendola stranamente parte di me. Non li avevo mai collegati, quei due, e vedere questo appaiamento inatteso mi ha acceso dentro come un lampo di gioia selvaggia.

Tuttavia, non ho comprato il libro: mi interessava quell’unica pagina, l’avrei cercato per fotocopiarlo.

Appena arrivata a Buenos Aires avevo chiesto alla mia amica Valentina che però non l’aveva e nemmeno l’avevamo trovato nella bella biblioteca dell’Escuelita. Presa dai vari giri nella capitale me n’ero momentaneamente scordata, anzi, mi ero ripromessa di cercarne notizie su internet al mio ritorno.

Quale non è stata la mia sorpresa quando Marisol, che avevo conosciuto solo tre giorni prima grazie a Vale e con cui immediatamente c’eravamo trovate bene a chiacchierare di noi, di come siam fatte e di quel che ci piace, arriva a pranzo con la sua famiglia e mi porta da vedere un libro che le ha regalato suo padre e che l’ha fatta pensare a me: Mujeres! Anche Vale esulta incredula e io finalmente scopro cosa Galeano è riuscito a dire di Camille. La sua vita, semplicemente. Con sempre quella sferzata finale che sa rendere i suoi brani indimenticabili.

 

Resurrezione di Camille

 

“La famiglia la dichiarò pazza e la mise in manicomio.

Camille Claudel trascorse lì, prigioniera, gli ultimi trent’anni della sua vita.

È stato per il suo bene, dicevano.

Nel manicomio, carcere gelida, si negò al disegno e alla scultura.

La madre e la sorella non le fecero visita mai.

Di rado si fece vedere suo fratello Paul, il virtuoso.

Quando Camille, la peccatrice, morì, nessuno reclamò il suo corpo.

Anni ci mise il mondo a scoprire che Camille non era stata soltanto l’umiliata amante di Auguste Rodin. Quasi mezzo secolo dopo la sua morte, le sue opere rinacquero e viaggiarono e lasciarono stupefatto il mondo: bronzo che balla, marmo che piange, pietra che ama. A Tokio, i ciechi hanno chiesto il permesso di palpare le sculture. Hanno potuto toccarle. Hanno detto che le sculture respiravano.”

Camille, Niobide blessée

Eduardo Galeano, in Mujeres, Siglo Veintiuno Editores, 2015, p. 173.