Eve Ensler a Bologna. Educare a chiedere scusa

Poco meno di due ore fa stavo abbracciando Eve Ensler, subito dopo che mi aveva firmato la copia del suo ultimo libro, Chiedimi scusa, in cui immagina che suo padre, che ha abusato di lei da quando aveva cinque anni, le scriva una lettera di scuse, perché chiedere scusa è un processo intimo e profondo, diceva all’incontro tenutosi oggi pomeriggio come anteprima di GenderBender al lungo auditorium Enzo Biagi in Sala Borsa, non è né veloce né sommario scusarsi, non è come quando urtiamo una persona e ci scusiamo frettolosamente: scusarsi è un processo non un gesto, è entrare nel dettaglio del dolore arrecato, scandagliarlo, sezionarlo e sentirselo addosso, perché per chi sopravvive a un trauma la cosa terribile è che la sua realtà ferita non viene riconosciuta e questa persona vive nell’abbandono. Scusarsi è entrare nei particolari, scendere in profondità: una finzione letteraria terribile, lancinante, questa di Chiedimi scusa, ma non dobbiamo sottrarci a questo dialogo con i morti, continuava Eve, perché loro hanno bisogno di essere liberati e noi talora di rinascere.

Ne parlavo poco fa con le mie figlie a cena: è successo tutto così in fretta. Stefi Prestopino delle Vocianti che ieri mi trasmette l’invito ricevuto dalla Casa delle Donne e stasera eccoci lì in seconda fila a gustarci questa presenza radiosa, di una dolcezza tenace, che parla in maniera esatta, emozionata ma risoluta – ancora non ci posso credere! Ai Monologhi della Vagina abbiamo dedicato alcune letture musicate anni fa, la densa prefazione di Io sono emozione l’ho letta insieme alle alunne e agli alunni della mia terza, due anni fa a San Giovanni in Persiceto, e alla fine delle ragazze ne avevo diverse in lacrime – era l’ultimo giorno di scuola e me le sono ritrovate tutte attorno che mi abbracciavano come la corolla di un fiore. Sempre Io sono emozione l’ho regalato due volte a mia figlia Bianca, ogni volta con lo stesso entusiasmo, tanto trovo che sia una lettura imprescindibile per un’adolescente che glielo regalavo in continuazione, confermandole l’idea che sono irreversibilmente stordita. Ma stasera a tavola le mie figlie mi ascoltavano partecipi e da lì è partito uno scambio sulla violenza, l’educazione dei figli – dei maschi soprattutto. Eravamo serie, ma abbiamo tanto riso anche. Eve emana questa magia commossa ed energizzante, come un ballo scatenato sotto la luna che ridi, piangi, salti, strilli e poi hai voglia di cantare per tutta la notte.

Tutto il suo percorso artistico è insieme di lotta e speranza: si tratta di una delle donne più influenti fra quelle che si battono contro la violenza e lo sfruttamento del corpo femminile. Il successo dei Monologhi della Vagina, dal 1996, è stato virale ancor prima di ogni social network, come sottolineava Cristina Gamberi oggi nell’introdurla: migliaia di rappresentazioni teatrali in qualcosa come 140 paesi nel mondo, l’invenzione del V-day (il Vagina Day), il 14 febbraio, a decostruire l’immaginario pernicioso ossessionato dall’amore romantico, la rivoluzione di One Billion Rising. La sua opera è un atto di fiducia innamorata nell’arte, nell’immaginazione come formidabile strumento di trasformazione della realtà: “ciò che non si dice non viene visto, né riconosciuto, né ricordato”. Chi subisce una violenza sessuale si sente scissa dal proprio corpo, che è diventato spazio di tradimento, dolore: l’innesco del pericolo. Il corpo va in pezzi e ci alieniamo da lui, come se estraniarci ci aiutasse ad attutire la sofferenza. “A cinque anni ho lasciato il mio corpo”, raccontava Eve ” e mi ci sono voluti molti anni per rientrarci. La scrittura è stata fondamentale. Il linguaggio è una potente opportunità di ricongiungere i frammenti sparsi: si può trovare la lingua per tornare intere.

Questa lettera di scuse suo padre non avrebbe mai saputo scriverla perché era un patriarca, narcisista, che non prendeva nemmeno in considerazione la possibilità di aver commesso un errore. Il privato è politico: più volte Eve ha citato l’attuale presidente statunitense come un esempio di questi patriarchi diabolici, narcisisti e irredimibili, tronfi di potere e incapaci di vedersi dall’esterno, così come quando descrive la complessità profonda del chiedere scusa accusa la sua nazione di aver dimostrato, nella storia, di esserne scarsamente capace. Se amiamo i nostri figli maschi, ha detto Eve, smettiamo di adorarli: permettiamo loro di perdersi, piangere, vestirsi di rosa, impazzire per i lustrini – “tutti impazziscono per i lustrini!” – insegniamogli a essere responsabili, altrimenti alleviamo dentro di loro un tumore, che poi va in metastasi e produce quello che anche nel libro Eve chiama l’uomo-ombra, quello ce non sa permettersi la tenerezza che ti può sopraffare quando ti nasce una bambina e allora il tuo amore e la tua tenerezza sai solo sessualizzarli. E diventi un mostro. Gli uomini che non hanno accesso al loro cuore, che non riescono a sentire, sono uno dei mali maggiori del presente: stanno avvelenando anche la Terra e la Vita. E invece bisogna dire basta a chi continua a crescere i figli dentro questa idea tossica di mascolinità. Noi stesse ci ritroviamo senza accorgercene intrise di patriarcato. A questo proposito Eve ricorda quando si trovava in Kossovo, durante la ricostruzione postbellica, e aveva conosciuto una donna che non aveva notizie del figlio, partito per la guerra, da due anni. La delegazione con cui la scrittrice si trovava era tornata dopo due giorni per portare a questa donna un materasso perché erano accampati in condizioni molto disagiate e pochi minuti prima del loro arrivo, il figlio di quella donna, scomparso da due anni, era tornato da lei, aveva ritrovato la sua famiglia. E stava piangendo a dirotto. Vedendo Eve, l’aveva abbracciata singhiozzando. Lei si ricorda che la prima sensazione era stata di smarrimento: “Oddio, c’è un ragazzo che sta piangendo fra le mie braccia!”, queste stesse parole si erano addolcite ed erano diventate di gioia e di sollievo: facciamoli piangere questi uomini, costruiamo per questi bambini maschi, da insegnanti e da adulti, dei contesti sicuri e sereni in cui manifestare tutte le loro emozioni, le loro predilezioni, smettiamola di redarguirli e censurarli. Questo potrà favorire un cambiamento. E a noi donne un vademecum per capire se ci troviamo in una relazione sana: ci sentiamo sicure, viste e celebrate? Allora sì. Se no, alla larga!

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