E così è passato un anno

Simona è certamente uno di quegli incontri impagabili che questa esperienza del blog di Donne Pensanti mi sta regalando. In questo spazio in bilico che è il mio oggi, tra un passato che ho amato ma in cui non mi riconosco più del tutto e un futuro verso cui devo scegliere come incamminarmi, il suo racconto, che è la voce di uno sguardo delicato e denso sul mondo, mi sta dando delle chiavi di lettura preziose. Simona ci racconta del primo anno con il suo bambino, che ha deciso di avere nonostante tanti la sconsigliassero,  perché Simona ha la sclerosi multipla, SM, Sua Maestà, come la chiama lei con quell’ironia che sanno avere le persone sensibili e forti. Ci racconta di quanta fatica e quanta gioia possa portare il coraggio di scegliere strade poco o per niente battute, quando sentiamo che sono le uniche per noi, le uniche in cui ci sappiamo davvero riconoscere. Simona ha un blog, molto bello, che consiglio di leggere a tutti coloro che amano assaporare la vita con lentezza e profondità, a chi crede che nei particolari spesso stia il succo della vita, e la sua bellezza più segreta. Un blog che si chiama Leucosia.

E così è passato un anno. Il tuo primo anno di vita. Tra mille peripezie, gioie ed affanni.

Eppure ancora in piedi – io.

Mi pare quasi un miracolo, nel vero senso della parola.

Poi ci sei tu, il mio piccolo miracolo, e su questo non si discute.

Tu, tu che vali tutto, dalla fronte ai piedi.

Perché sei il respiro delle mie giornate, la volontà che comanda ogni mio gesto, tu che sei tutto.

E pensare che la mia è stata una gravidanza a lungo cercata, ma sempre rimandata, posticipata se non addirittura scongiurata perché temuta come evento totalmente destabilizzante delle mie condizioni di salute. “Un figlio? Pura follia! Nelle tue condizioni, poi! Pensa piuttosto a curarti, invece di desiderare una creatura, che con questa malattia non si scherza mica.”. Questo era il refrain, il nocciolo della questione, il succo propinato in tutte le salse immaginabili ad ogni occasione possibile. Ed io inghiottivo amarezze e speranze, falsità e luoghi comuni, nascondendo nell’andito più recondito del mio animo questa spinta irreversibile verso l’impagabile sensazione di cullare un bambino, ascoltare il battito del suo cuore e sentirne il suo calmo sospiro. E mi domandavo per quale motivo una scelta di vita così intima e personale, il naturale e pieno coronamento di una vita affettiva e coniugale come la mia, dovesse per forza di cose essere scandagliata nei minimi particolari, essere messa sotto processo, un processo all’intenzione. Intanto gli anni passavano, noi restavamo sempre coppia, mentre il resto del mondo si riproduceva. Il tarlo nella mente tuttavia continuava a scavare con infinita pazienza, scardinando tutte quelle funeste ipotesi che si erano fatte strada durante i frequenti appuntamenti medici del controllo di routine. E fu soprattutto la consapevolezza di voler rischiare, diventando madre, sfatando vecchi miti sulla gravidanza e la sclerosi multipla, nonostante la disabilità che affaticava – ed affatica ancora – la mia deambulazione, fu soprattutto quella la molla da cui è iniziato tutto il mio nuovo universo.

Durante i fatidici nove mesi di pancione, dalla maggioranza delle donne in attesa vissuto come un periodo magico, la patologia di cui sono affetta, a dispetto delle miriadi di pagine di letteratura scientifica che decretano la gravidanza come protettiva per le donne con sclerosi multipla, la mia patologia, dicevo, non vide la famosa battuta d’arresto, anzi! S’incattivì Sua Maestà, tanto che gli ultimi tre mesi li trascorsi pressoché a letto. E come se non bastasse, ero sola ad affrontare la bestia. Sola dal punto di vista medico, poiché il mio vecchio neurologo, alla prima ricaduta, mi abbandonò letteralmente al mio destino, limitandosi a comunicarmi per telefono – senza prendersi nemmeno la briga di venirmi a visitare a casa, nonostante lo avessi supplicato nel corso della nostra telefonata – la terapia di cortisone che secondo lui dovevo assumere, terapia subito smentita dal ginecologo, che non voleva assolutamente imbottissi me ed il nascituro di steroidi.

E poi ero doppiamente sola, perché a livello della cerchia familiare, quel famoso cordone affettivo fatto di parentele ed amicizie femminili, fiore all’occhiello di tutte le famiglie del sud Italia, alla prima tangibile richiesta d’aiuto, svanì nel nulla, senza lasciare traccia come un’effimera bolla di sapone. L’unica donna che è stata capace di sostenermi sia fisicamente che spiritualmente nel lungo e tribolato viaggio verso la maternità, è stata mia madre, alla quale devo tutto. Perché abbiamo condiviso momenti così intensi da riuscire a trasmettermi quel famoso istinto materno ancora prima che partorissi.

Anche se purtroppo devo dire che la gioia di esser diventata madre è stata sporcata dalle conseguenze negative a livello neurologico, e non solo, del post partum, dove a lungo ho cercato di districarmi in questa nuova dimensione, priva di bussola, divisa a metà tra il desiderio di agire e l’impossibilità lampante di poterlo realmente fare. A tutto ciò bisogna aggiungere l’ansia da prestazione, un determinato tipo di ansia generato dallo stato emotivo di quasi tutte le persone con sm. E spesso è stata una lotta impari nel corso della quale mi sono sentita stremata, ormai al limite e pronta a soccombere, nonostante tutti gli sforzi profusi.

Con la reale incapacità di prendermi cura di me e di te, piccino mio.

Poi pian pianino, le cose hanno ricominciato a girare per il verso giusto. Da questa maternità così desiderata è scaturita una nuova consapevolezza di donna e genitrice; adesso scorgo, dopo la spaventosa burrasca, un brillio, un sentiero nascosto che mano a mano si svela davanti ai miei occhi.

Ora che sento il bisogno di raccontare la mia esperienza di donna e madre nonostante la sclerosi multipla, soprattutto di raccontarla – non solo scrivendo e pubblicando su internet notizie inerenti maternità e disabilità, ma anche impegnandomi a creare legami, seppur virtuali, tra madri con sm – per altre donne che come me accarezzano l’idea di diventare madri un giorno, intravedo un nuovo percorso dove poter riscattarmi nel vero senso della parola, superando tutti gli ostacoli che si sono frapposti tra me ed il mio più che naturale desiderio nell’ottenere una vita normale, normale il più possibile.

È il bisogno di fare cose, e di farle perbene, che mi spinge ad andare avanti in questo mio nuovo ruolo che costruisco giorno dopo giorno, dove gli errori che inevitabilmente commetterò potranno essere superati, dove la sensazione di totale vacillamento di anima e corpo è stata definitivamente defenestrata dalla mia vita, dove al centro della quale adesso ci sei tu, tu che sei tutto il mio universo… perché adesso so che per davvero “i bambini salvano da tutto!”

E come un prezioso talismano ho voluto far mia la frase simbolo del film della Comencini, quella ‘Bestia nel cuore’ che vidi per puro caso in una placida serata di settembre, quando il nostro cammino in simbiosi era appena iniziato ma ancora non sapevo della tua lieve presenza, di te che eri appena un piccolo sbadiglio di cellule raggomitolate nel fondo del mio cuore.

Simona Coppola

All’inizio un dipinto di Bruna Verrecchia Verdone, Tra le nuvole