“Pensare la vita. Lezioni di disumanità”, di Alberto Meschiari

Conobbi Alberto Meschiari molti anni fa, durante alcune uscite in montagna col Club Alpino di Modena. Avevo diciannove anni e vivevo in bilico fra la mia irrequietezza e quella che oggi potrei chiamare una strana pienezza, dagli orizzonti confusi ma potenzialmente infiniti. Sentii un’affinità spontanea con quel signore dell’età dei miei (giovani, direi ora) genitori, che veniva in montagna con La recherche di Proust perché, diceva, “inutile portarsi libri più piccoli che poi va a finire che per quelli che vuoi davvero leggere non trovi mai il tempo”. Alberto era diverso dalla maggior parte degli escursionisti: sembrava che ogni sua esperienza si illuminasse a un crocevia collocato nel suo mondo interiore, tra un sapere di avventure filosofiche e letterarie già stratificate in narrazioni e una variegata avventura umana. Tante volte faceva delle battute in dialetto: il dialetto di Carpi, abbastanza simile a quello di Cavezzo che mio padre ha sempre parlato con sua madre e coi suoi fratelli più grandi, ma diverso per certe aperture vocaliche che già virano verso il reggiano. Chi ha il dialetto come lingua materna possiede un’aderenza alle cose che spesso sfugge a noi italofoni: Alberto si è sempre fatto portatore di un pensiero colto e articolato attraverso un linguaggio comprensibile, quindi accogliente e aperto al dialogo. Dire tanto per tante persone, come accade in questa conferenza del ciclo Pensare la vita, dal significativo titolo Lezioni di disumanità. Lui, che da almeno quindici anni ragiona attorno all’etica del reincanto, ha saputo captare con straordinaria lucidità l’abisso in cui l’umanità si sta snaturando.

Invitandovi ad ascoltare direttamente le sue parole nel video che trovate più sotto, propongo comunque una sintesi dei passaggi cruciali della sua conferenza, che si snoda in otto punti, non concatenati in una logica di causa-effetto, ma che piuttosto disegnano una costellazione di senso. L’idea-chiave è che la società tende a farsi disumana per una violenza che è generata dalla cultura patriarcale. Esiste tutto un sapere che con questa cultura è profondamente colluso ed è ora che anche la scuola se ne renda conto e ne prenda atto.

Prima lezione di disumanità. Patriarcalismo e fascismo. Occorre uscire dalla “fase scolastica dell’esistenza umana”. Una stringente riflessione a partire da Le tre ghinee di Virginia Woolf, scritto durante la guerra di Spagna, alle soglie del secondo conflitto mondiale. Che bisogno c’è di combattere? La Woolf individua una correlazione fra proprietà privata, educazione degli uomini e loro propensione a fare la guerra e quindi a uccidere. L’istruzione, fino a pochi decenni prima prerogativa unicamente maschile, non insegna la magnanimità, ma a fare uso della violenza, a tenersi stretti i propri privilegi, la grandezza e il potere. Tutte cose connesse con la guerra. A Virginia non interessa rovesciare la situazione femminile in modo che le donne da vittime del sistema patriarcale diventino esponenti del sistema capitalistico; le interessa capire come sviluppare qualità propriamente femminili.

Seconda lezione di disumanità. America Latina. Lo shock dell’11 settembre 1973: Cile. Il golpe militare contro il governo di Unidad Popular guidato da Salvador Allende, che muore nel palazzo presidenziale della Moneda dopo aver pronunciato alla radio un discorso che ancora ci scuote nel profondo. Il timore di un effetto-domino generato negli Stati Uniti dalla rivoluzione cubana del 1959 li spinge a foraggiare una serie di dittature militari in tutto il continente: alcuni fra i regimi più sanguinari di tutta la storia umana. È l’immagine esaustiva che nel sistema neocapitalista non c’è democrazia che tenga e che in troppi ormai danno per scontato che “i fondamenti non democratici del potere economico devono restare una cittadella preclusa al processo di democratizzazione” (Massimo Salvadori), come diceva senza mezzi termini anche Che Guevara in questo discorso pronunciato nel 1964, mai ascoltato abbastanza.

Terza lezione di disumanità. La favola delle api, di Bernard de Mandeville. L’apologo del poeta settecentesco sostiene, al di là di ogni morale, che il fondamento della società è l’egoismo individuale. Il vizio di prevalere e la brama di arricchirsi spingono l’uomo all’azione, facendo avanzare la “civiltà”: la concezione liberistica si trovò la strada spianata grazie ad aberrazioni utilitaristiche come questa. E intanto 20 milioni di indiani d’America venivano trucidati per rimpinguare le casse europee…

Quarta lezione di disumanità. L’uomo violento. La violenza non è il contrario della cultura, ma l’effetto di un certo tipo di cultura, in rapporto stretto con le forze che regolano la cosciente vita associata degli esseri umani: l’avidità, il potere e la razionalità (questo suonerà magari strano per qualcuno, ma ascoltate la quinta lezione!). La disumanità è culturale, non bestiale. La disumanità qualifica l’essere umano come risultato di una cultura votata al male e alla sopraffazione. La violenza maschilista è trasversale, frutto di una cultura diffusa di matrice patriarcale che attiene la configurazione dei ruoli dati per strutturali. Lo stupro è uno strumento di dominio e colonizzazione. Pubblico e privato si dimostrano, ancora una volta, inscindibilmente intrecciati.

Quinta lezione di disumanità. Africa. Chinua Achebe, scrittore nigeriano, uno dei padri delle letterature africane in lingua inglese, denuncia la catastrofe culturale provocata in Nigeria prima dal colonialismo poi dai regimi corrotti dell’indipendenza. Il colonialismo spazzò via la dignità e la bellezza delle culture africane. L’orrore che affascina è tematizzato nel classico di Joseph Conrad, Cuore di tenebra.
Il giudizio di Conrad coinvolge tutta la civiltà. Il cuore delle tenebre è la cultura occidentale, la volontà di potenza economica e politica è una trasformazione della volontà di dominio sessuale (tabù della società vittoriana, rappresentato nell’immaginario europeo dell’epoca dalla wilderness degli autoctoni africani). La riduzione dell’altro a sé è il processo tipico della razionalità occidentale fisico-matematica inaugurata da Cartesio, una razionalità che non è il contrario della irrazionalità, ma soltanto una “particolare composizione delle forze pulsionali” (Nietzsche), una razionalità che è espressione del tipo borghese.

L’imperialismo è in primo luogo una prevaricazione culturale. L’Africa è usata come soluzione delle crisi europee. La demarcazione artificiale dei confini coloniali decisa in Europa violenta la realtà africana, a cui era estraneo perfino il concetto di frontiera, e questo stupro si fa evidente dopo la decolonizzazione: le etnie più forti prendono il potere, le persone si massacrano per colpa delle divisioni incongrue fatte in Europa. A tutt’oggi continuiamo a depredare l’Africa, dove interessi europei e americani mantengono al potere dittatori sanguinari.

Sesta lezione di disumanità. Una modesta proposta. Citando il sarcastico manifesto del 1729, scritto dall’autore dei Viaggi di Gulliver Jonathan Swift, si propone una chiave urtante e provocatoria per capire più a fondo come il neocapitalismo stia letteralmente divorando i figli delle terre che ha occupato e sfruttato per secoli.
Settima lezione di disumanità. Riformare il capitalismo. Nell’Avvenire del capitalismo del 1914, Max Scheler sostiene che il capitalismo è un complessivo sistema di vita e cultura scaturito dagli scopi e dai valori del tipo biopsichico del borghese. Si può trasformare solo quando il borghese e il suo spirito perdano il predominio. La soluzione non è allora il proletariato, perché l’ethos che anima il proletario è lo stesso del borghese: la volontà di arricchimento. Serve un nuovo orizzonte di senso: a cambiare le cose potrà essere solo una battaglia culturale per differenti valori.

Una proposta analoga di riforma del capitalismo è venuta da grandi paesi dell’America del Sud – Bolivia, Venezuela, Uruguay e Brasile – dopo le dittature. Meglio di tutti è riuscito a incarnare questa proposta l’ex presidente dell’Uruguay Pepe Mujica. Dobbiamo pensare a modelli di società diversi rispetto al capitalismo. Il capitalismo è il principale nemico dell’umanità perché crea egoismo, individualismo e guerre.

“Una delle tragedie della politica è avere abbandonato il campo della filosofia ed essersi trasformata in un ricettario puramente economico”, ha detto Mujica. L’essere umano deve di tanto in tanto porsi delle domande sul proprio futuro e sulla propria felicità. Un’umanità diversa è possibile solo a partire da altri valori per arrivare a capire che chi cerca di attraversare il Mediterraneo è un povero dell’umanità, perché il sistema è mondiale. Si è generata una cultura globale che tende a colonizzare i nostri cuori e le nostre menti e ci rende consumatori compulsivi, assuefatti a questo stato di cose come se fosse ineluttabile. La globalizzazione è un processo violento imposto dalle multinazionali con l’avallo di alcuni governi (Thacher, Reagan, Bush, per esempio) che hanno incarnato l’economicizzazione della politica provocando un abbrutimento generale: l’ambiente è distrutto, i ritmi di vita sono ormai insostenibili. Il vero nemico di classe si è reso invisibile, ma c’è.

Ottava lezione di disumanità. Una mente androgina. Ma come si riforma la testa di 8 miliardi di esseri umani? Che fare individualmente noi occidentali per contribuire a questa rivoluzione?
Alberto ce lo spiega a partire dal pensiero di Pepe Mujica e da una splendida immagine di Virginia Woolf.