Onorare una donna – Lettera a mia figlia

MimosaIn questi ultimi giorni mi si stanno accavallando molti impegni e ho perso qualche colpo: tipo questa testimonianza, una intensa lettera alla figlia di pochi mesi che Marcella ha messo anche nel suo blog in occasione dell’8 marzo, avrei potuto anche pubblicarla un po’ più a ridosso della Giornata della Donna ma, appunto, l’avevo persa di vista e inserita nella mia scaletta delle pubblicazioni – sì perché c’ho anche una scaletta delle pubblicazioni, che non crediate che improvvisiamo qua 😉 – ancora più in là. Ma oggi recupero, un altro spazio di riflessione come un’eco degli effetti dell’8 marzo che è utile probabilmente soprattutto per questo: farci fermare a riflettere sui suoi possibili sensi. Mi scuso con Marcella per questo ritardo e la ringrazio per aver voluto condividere con noi queste parole così importanti.

lunedì 8 marzo 2010

Cara Figlia Mia,

ti scrivo, in questo giorno particolare che è il tuo primo Otto Marzo.

Giorno che la maggior parte delle persone chiama “Festa della donna”, e che io preferisco piuttosto chiamare Giornata Internazionale della Donna, come è corretto che sia. Non è un giorno di festa, ma di commemorazione. Come quando ci si ferma per un minuto di silenzio in memoria di qualcosa, oggi è necessario un intero giorno (e magari bastasse…) di memoria per fermarsi a pensare. Giorno che invece non viene usato per il silenzio, quanto piuttosto per un commerciale baccano che vede improvvisati venditori ai semafori tentare di convincermi a comprare un rametto di mimosa.

Quel rametto dovrebbero regalarmelo. Quel rametto, anzi, non dovrebbe nemmeno esserci tra le loro mani: viene strappato alla pianta senza alcun criterio, senza il giusto verso che consente all’albero madre di non soffrire di una forzata potatura, solo per arricchire le tasche di saccheggiatori improvvisati. Chiunque abbia un albero di mimosa che sporge su una strada sa che non c’è rispetto da parte di chi vuole cogliere l’occasione di VENDERE mimose per l’OttoMarzo, per la “Festa della Donna”, ai semafori o su ambulanti banchetti per la strada.

La mimosa, per questo motivo, oggi mi sembra appropriatamente il simbolo del femminile, a cui le mani dell’uomo attingono senza criterio e senza rispetto, senza logica e senza ascolto, solo per il proprio interesse personale (ho scelto di proposito la foto di un albero di mimosa, e non di un rametto). Istituire un OttoMarzo, per questi uomini (che non sono tutti, ma sono una nutrita rappresentanza del genere maschile) significa solo ufficializzare il permesso di strappare via dai rami quello che per quella pianta è il proprio frutto della vita.

Cogliere la metafora è fin troppo scontato.

Figlia mia, oggi è il primo otto marzo della tua vita… o forse no. Appena un anno fa io e tuo padre festeggiavamo la notizia che eri una femmina, dopo l’ecografia, con una giornata al mare ed un pranzo sulla sabbia in una splendida giornata di sole. Un otto marzo che non dimenticherò. Sei stata una femmina desiderata, anche se non so spiegartene con la logica il motivo. Un fatto “di pancia”, forse, un fatto che ha visto tuo padre protagonista speciale di questo desiderio, e vedere la gioia nei suoi occhi mi ha fatto subito pensare che saresti stata, fortunatamente, una donna amata, voluta, desiderata. Non in tutte le parti del mondo, oggi, è così.

Da un anno sono cambiate tante cose, siamo cambiati noi, da allora non ho mai smesso di interrogarmi sul senso che ha per me essere madre di una figlia femmina. Ha in sé qualcosa di meraviglioso e qualcosa di non altrettanto. Oggi mi piacerebbe dirti solo quanto è bello ed affascinante l’universo femminile, quanta forza e bellezza c’è nell’esserlo, consapevole di quanto sia importante che io, tua madre, riesca a farti passare questo messaggio. Ma oggi, sottovoce, devo anche dirti quanto dolore, quanta difficoltà, ancora oggi c’è nell’essere donna.

Oggi, giorno in cui il mondo dovrebbe fermarsi a pensare, in cui la gente dovrebbe fermarsi a riflettere sul fatto che per tanto tempo non c’è stata dignità nell’essere donna, che la capacità di dare la vita (miracolo e condanna di noi generatrici) è stata da sempre strumentalizzata dagli uomini di ogni parte del mondo, temuta perché potente, controllata perché vicina al soprannaturale… non lo dico con enfasi femminista, ma con l’immagine negli occhi di una donna che partorisce: sfido chiunque a non provare un brivido di riverente emozione nel vedere un bambino che esce dal corpo di una donna, e a non pensare che sia quasi sovraumano.

Per tutta la vita mi sono sentita dire da stupidi ragazzetti compagni di scuola la frase “perché mai dovrebbe esserci un giorno dell’anno in cui si festeggia la donna” e “perché non dev’esserci un giorno dell’anno in cui si festeggia l’uomo” oppure ancora “oggi non ti faccio un regalo perché le donne vanno festeggiate ogni giorno dell’anno” (scusa banale per camuffare il fatto che se non è corretto festeggiare un solo giorno all’anno allora è giustificato non festeggiare mai). Ero troppo piccola e immatura per rispondere a “lor signori” di andare a studiare un po’ e a rivedere alcune definizioni su questo giorno. Innanzitutto perché, come dicevo, non è una festa. E non è un giorno in cui si fanno “regali alle donne”. Non un giorno in cui alle fidanzate si comprano oggetti, offrono cioccolatini, o cose del genere, e meno che mai un giorno in cui le donne si riuniscono per uscire da sole e andare a vedere un uomo che si spoglia per loro (consuetudine che demarca ancora di più lo stato di inferiorità in cui ancora adesso le donne si trovano, costrette a giustificarsi un’uscita in gruppo in un solo giorno dell’anno, autorizzate ad escludere l’universo maschile, scimmiottando la strumentalizzazione del corpo femminile e dello spogliarello attraverso una quasi “legge del contrappasso” nella quale loro fanno all’uomo quello che non vorrebbero fosse fatto alle donne… è questo il modo corretto di cambiare le cose?).

Oggi è un giorno in cui, se un uomo lo desidera, può offrire alle donne un segno di rispetto: è questo per me il senso di un rametto di mimosa (ma non solo quello). Non è un obbligo, non è un regalo, non è il bis di san valentino. E’ un modo di porgere omaggio, nel senso più arcaico del termine, un modo di dire “ti ammiro perché sei donna”.

Il motivo per cui oggi si dedica un giorno alle donne non paga nemmeno una parte di tanti secoli in cui le donne sono state ignorate, umiliate, o semplicemente trattate al pari di oggetti. E non basterebbe un altrettanto tempo, fatto di secoli e secoli in ogni cutura del mondo, per affrancarle di tanto sacrificio.

glia, oggi per te è forse un po’ più semplice essere donna. Tante donne hanno combattuto e lottano ancora, per me, per te, per tutte le donne del mondo. Sono consapevole che se ti avessi fatto nascere in un altro posto, in un altro tempo, le nostre sorti sarebbero state diverse. Ciononostante mi vergogno un pò di averti fatto nascere in un posto che ipocritamente si proclama libero, e di libertà ne conosce ancora poca. Mi addoloro di averti fatto nascere in un posto in cui, tanto per dire la cosa apparentemente più “banale” (perché di cose più gravi e di ferite più profonde le donne oggi ne devono ancora sopportare), le lavoratrici madri sono ancora troppo spesso penalizzate e discriminate per il loro ruolo di genitrici.

Lo dico, e so che non sempre è così. Non fa tutto schifo, e questo mi rende possibile insegnarti che il mondo è un luogo che vale la pena di essere vissuto. Ci sono uomini e donne che lottano in prima fila (e non mi riferisco all’attivismo politico o idealista), con il loro esempio, con il loro coraggio, con il loro impegno, perché questo sia un mondo migliore per le donne, per gli uomini di queste donne, per i figli e le figlie di queste donne.

Oggi, figlia mia, mi fermo a riflettere sul mondo in cui io e te, insieme ad altre donne, ci troviamo. Spero di avere sempre la forza di ricordarti tutte quelle donne che hanno lottato perché io e te arrivassimo a questo -se pur precario- punto, spero di ricordarti tutte quelle donne che non hanno saputo capire questi gesti. Mia madre questo a me non ha saputo insegnarlo, troppo vicina lei a certi fatti sociali e contesti culturali, da non saperli guardare dalla giusta distanza e con la giusta consapevolezza.

Spero di avere la forza di insegnarti che la frivolezza e la leggerezza dell’essere donna devono avere radici salde e nascere dalla consapevolezza. Sì, voglio che tu sia anche una donna spensierata e leggera, quando sceglierai i momenti in cui vorrai esserlo, ma desidero per te anche un terreno di responsabilità e conoscenza in cui questa frivolezza si stagli in pienezza, e non senza radici.

Per finire, piccola donna di domani, spero che tu possa godere dei fiori che L’Albero Madre Di Mimosa ha riservato a te in questa vita. Ti auguro che tu stessa possa essere fiore che mostra al mondo la sua Bellezza, e che nessuna mano stolta possa coglierti al di fuori dal giusto tempo delle cose. In ogni senso.

Ondaluna