Il cervello delle mamme

Metto in rete stasera un post che Serena ha già pubblicato poco più di un mese fa, sul blog Genitori crescono (gestito con l’amica Silvia), e che ha riscosso molto interesse, non solo fra chi ha già commentato. Buona lettura.

Definire una persona priva di occupazione fissa remunerata come disoccupata è quanto di più errato ci sia. Già la sola ricerca di un lavoro mantiene la suddetta persona occupata a leggere infiniti noiosissimi annunci di lavoro su giornali di ogni genere e pagine internet sparse per la rete, parlare con chiunque si conosca anche lontanamente del fatto che si sta cercando lavoro, telefonare, scrivere email ma soprattutto scrivere curricula vitae specifici per ogni datore di lavoro, che ormai lo sanno tutti che scrivere un unico CV per tutti non va bene.

Se la persona priva di occupazione fissa remunerata è anche una mamma, allora la cosa si complica. Ovviamente perché come al solito si hanno tante cose da fare, ma non solo per questo.

Diciamo che io ora mi trovo a scrivere il mio CV, e c’è un grosso…come definirlo…sì, un buco. C’è un buco tra la mia ultima occupazione remunerata e oggi.

Il buco è ovviamente dato dalla mia gravidanza, durante la quale non ho trovato un briciolo di azienda disposta a darmi lavoro (complice anche la crisi finanziaria scoppiata proprio all’inizio della mia disoccupazione), e da questi dieci mesi di maternità, in cui sono stata a casa con il mio piccolo Pollicino.

Ecco io quel buco nel mio CV vorrei tanto riempirlo con la riga:

2009-2010 Dieci intensissimi mesi di maternità

ma non solo. Vorrei aggiungere qualcosa sulle skills imparate e affinate in questo periodo, perché penso che siano importanti per me come persona, e per il mio futuro datore di lavoro. Qualcosa sul genere:

Durante questo periodo ho imparato ad esercitare le mie doti di pazienza fino allo stremo. Ho imparato a gestire conflitti, e ad osservare le cose da punti di vista differenti. Ho affinato le mia capacità di problem solver e sono diventata un campione di multitasking. Efficienza è diventato il mio secondo nome, e lavorare a progetti un modo di vita.

Naturalmente potrei scrivere molto di più ma bisogna selezionare tra le centinaia di skills o abilità imparate durante la maternità per indicare solo quelle che possono essere appetibili al futuro datore di lavoro. Per un lavoro di tipo manageriale potrei parlare delle mie capacità di leadership. Per un lavoro in cui si tratta con clienti potrei sottolineare le capacità di ascolto e di empatia per cercare di capire le esigenze degli altri. E così via.

Tempo fa ho letto un libro molto interessante. Si chiama The Mommy Brain: How Motherhood Makes Us Smarter di Katherine Ellison.

In quel libro si sottolineano le innumerevoli capacità del cervello che vengono sviluppate durante la maternità (ma anche paternità). Conquiste dell’evoluzione che migliorano le abilità di una madre utili ad aumentare le probabilità di sopravvivenza del bambino. Skills alle quali un’azienda è così interessata da pagare spesso migliaia di euro in formazione per i propri dipendenti (ok, solo le aziende più sveglie!) ma che vengono sviluppate naturalmente e spontaneamente dalle mamme per il semplice fatto di prendersi cura dei propri figli. Questo libro mi ha fatto molto riflettere, perché spesso la maternità ci fa sentire fuori dal mondo. Si parla di cambi di priorità, di prospettive diverse, in modo negativo. E invece gli studi accuratamente riportati da Katherine Ellison, mostrano esattamente il contrario. Ossia che la maternità ci rende più intelligenti.

E allora, perché non posso scriverlo nel mio CV? Se ho imparato tutte queste cose in questo periodo di maternità, è grazie ai miei figli.

Se la maternità mi ha insegnato tanto, e ha fatto di me una persona più completa e anche una potenziale lavoratrice più competente, le aziende dovrebbero gioire nel leggere quella riga sul mio CV:

2009-2010 Dieci intensissimi mesi di maternità

Meditate aziende. Meditate.

Serena