La Costituzione è donna. La politica no!
Pubblico oggi un altro intervento di Gaspare, che aveva già scritto per questo nostro blog in occasione dell’8 marzo, un breve articolo in cui si denunciano le profonde contraddizioni di una società che, anche quando difende le donne a parole – con le leggi – poi nei fatti le discrimina penalizzandole gravemente.
DONNE, POLITICA E SOCIETA’.
TRA “PARITA’ FORMALE” E “DISCRIMINAZIONI DI FATTO”!
In Italia è oramai comune la convinzione per cui le donne abbia conquistato molti diritti e libertà negli ultimi decenni, specie a partire dagli anni ‘70.
Sempre più uomini, addirittura, denunciano una “discriminazione alla rovescia”: la “sopraffazione” dell’uomo ad opera delle donne, sempre più intraprendenti e di successo, nella vita come nella società!
Se in questo vi è indubbiamente un fondo di verità, comunque, al di là delle apparenze la “questione femminile” resta ancora attuale e ben lontana dall’essere del tutto chiusa!
A denunciarlo è la stessa Costituzione, ove sollecita espressamente il legislatore ad intervenire per garantire un’“effettiva parità” di diritti ed opportunità tra uomini e donne.
In particolare:
I- l’art. 37 co.1 recita: “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”;
II- l’art. 51 co.1 (modificato dalla l. cost. n. 1 del 2003) sancisce: “Tutti i cittadini, dell’uno o dell’altro sesso, possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tal fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”;
III- e l’art. 117 co.7 (introdotto dalla l. cost. n. 3 del 2001) afferma: “Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovo la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive” (principio introdotto anche negli statuti delle regioni speciali con la l. cost. n.2 del 2001).
Nonostante la riconosciuta “parità formale” tra i sessi, però, ancora la classe politica (non a caso quasi interamente maschile…) non ha ancora fatto quel salto in avanti richiesto dalla Costituzione: il passaggio dalle mere “enunciazioni di principio” a risposte concrete legate ai bisogni reali e quotidiani delle donne (e delle famiglie, di cui le stesse sono il perno).
E’ divenuta, così, un’esigenza improcrastinabile:
I- il miglioramento dei servizi pubblici offerti alle famiglie, necessari per riscattare più “tempo libero” in favore delle donne. Il che è conseguibile, ad esempio:
a. sostenendo il “costo” della maternità con sussidi adeguati (non interventi minimi ed “una tantum”, come gli assegni per i nuovi nati);
b. rendendo detraibili tutte le spese mediche pediatriche (sempre più elevate);
c. investendo risorse per nuovi asili nido pubblici;
d. defiscalizzando il costo dei servizi di babysitter e badanti;
e. e garantendo il tempo pieno nelle scuole.
II- la predisposizione di un’effettiva tutela legislativa del lavoro femminile. Sarebbe opportuno, ad esempio:
a- fissare delle “quote rosa” nei posti di lavoro (imponendo ai datori di lavoro, almeno nei settori in cui ciò sia possibile, l’assunzione di donne almeno per il 40% del personale);
b- e sanzionare più efficacemente i licenziamenti “giustificati”, di fatto, dallo stato di gravidanza della dipendente (anche se sempre più spesso, nel caso di lavoratrici precarie, non formalmente licenziamenti bensì “mancati rinnovi” dei contratti di lavoro).
L’ELETTORATO E’ DONNA. LA POLITICA NO!
L’insufficienza di rappresentanza femminile in politica, nonostante l’elettorato italiano sia in maggioranza femminile, si traduce inevitabilmente in una “carenza di democrazia”.
Una classe politica quasi interamente maschile, infatti, non può essere degna rappresentante degli interessi propri dell’“elettorato rosa” (quando si tratta di disciplinare, ad esempio, materie come la maternità, i diritti delle donne lavoratrici, la fecondazione assistita, l’aborto…).
Per riportare solo alcuni dati significativi:
I- la rappresentanza delle donne nel governo, dal 1996 al 2005, è variata:
– da un minimo dell’8,6% (sotto il governo Berlusconi del 2001/2005);
– ad un massimo del 24% (sotto i governi D’Alema del 1998/2000).
II- le candidate elette alle elezioni politiche del 2001 sono state:
– 71 alla Camera (su 630 deputati);
– e 25 al Senato (su 315 senatori).
III- e nei Consigli regionali la rappresentanza delle donne, di regola, non supera il 10%!
Per affrontare questa “emergenza democratica”, allora, non è più sufficiente appellarsi al “buon senso” dei partiti.
Le principali cause per cui la politica parla sempre meno al femminile, difatti, dipendono proprio:
1- da una mancanza di “democrazia interna” ai partiti, i quali riservano generalmente alle donne solo ruoli da “gregari” (nessuna di esse può ambire a scardinare gli equilibri di potere in mano ai gruppi dirigenti!);
2- e dalla legge elettorale “porcata” vigente, che non offre alle donne (oltre che ai giovani) alcuna possibilità per emergere in politica senza la “protezione” di un influente dirigente di partito!
Per questo occorrerebbe, anzitutto:
1- introdurre l’obbligo di “quote rosa” nelle liste elettorali per le elezioni degli organi elettivi di tutti i livelli di governo (Stato, Regioni, Province e Comuni), ossia il principio per cui le liste elettorali debbano essere composte da un “numero pari” di uomini e donne (pena l’inammissibilità delle stesse!);
2- e riformare la legge elettorale vigente (il cd. “porcellum”), abolendo le “liste bloccate” alle elezioni politiche così da restituire all’elettore il diritto di scelta del candidato (in caso contrario, le segreterie dei partiti avrebbero la possibilità di vanificare gli effetti dell’introduzione di “quote rosa” collocando le candidate sistematicamente nei posti in fondo alle liste, con ciò condannandole a non essere elette!).
Rimarrebbe nella libera disponibilità dell’elettorato, in ultima analisi, determinare col proprio voto la quota effettiva di rappresentanza dei due generi presenti negli organi elettivi.
E’ vero che il “sesso” non dovrebbe essere una ragione di “preferenza” in politica (essere uomo o donna non dovrebbe rappresentare un motivo per dare maggiore o minore rilievo ad una candidatura).
E’ anche vero, però, che il sesso non può rappresentare una “discriminante” per le donne impegnate in politica (superabile solo nel caso in cui, alla qualità d’essere donna, si aggiunga una buona dose di “bella presenza” e di “accondiscendenza”!).
Gaspare Serra
Blog “Spazio Libero!”
Gruppi facebook:
– “Ali Spezzate…” (contro ogni violenza su donne e minori!)
– “Riformiamo lo Stato, rinnoviamo la Politica, ravviviamo la Democrazia!”
segnalo questa storia agghiacciante
http://chepalle.gazzetta.it/post/22805209/yuliya
Dunque, vediamo se ho capito. Diciamo che la popolazione italiana e’ composta meta’ dagli uomini e meta’ dalle donne. Quindi META’ del popolo italiano deve essere tutelato come se fosse una minoranza?
Forse ho letto male la data sul giornale e siamo nel 1010!
Cosa c’entrano qui le cifre, Gloria? Io il tuo commento non l’ho capito. I diritti vanno tutelati, e quando non vengono rispettati è giusto ribadirli e fare leggi che li riportino in auge. Non è una questione di maggioranza e minoranza: in quanti casi sono state proprio le maggioranze a essere oppresse da una minoranza più potente?
Secondo me il problema di fondo è culturale e riguarda purtroppo anche noi donne.
Una mia conoscente dopo qualche mese che è stata assunta da un nuovo datore dilavoro è rimasta incinta e dopo più di anni è ancra in maternità.
Io capisco il diritto sacro santo di avere una famiglia e anche delle difficoltà sucessive per mancanza di strutture a sostegno delle neomamme, ma mi sembra veramente che ci sia poca voglia di mettersi in gioco.
Esempi di questo tipo ce ne sono parecchi e in diversi ambiti.
Se questa “rivoluzione” culturale non parte da noi, dai nostri comportamenti e dall’attegiamento nei confronti della vita avere quota rosa in parlamneto non servirà a molto… ci deve essere prima una volontà individuale a voler cambiare le cose!
Per questo sono d’accordo con Gloria.
Le tanto criticate “quote rosa” hanno senso in una fase di transizione in cui si tenti di gettare le basi per una società in cui le discriminazioni sessiste non siano così penalizzanti e sia possibile che tutti gli individui competano con pari opportunità (naturalmente è un’utopia: esisteranno comunque disparità di condizioni per cui alcuni individui saranno agevolati dalla loro situazione rispetto ad altri, per motivi economici e non solo, ma si cerchi almeno di avvicinarsi a una situazione più equilibrata, e qui le quote rosa possono aiutare). C’è sempre chi “approfitta” delle leggi, questo non significa che esse non vadano fatte, mi pare. Poi che accanto alle leggi debba esserci un’educazione alla responsabilità, questo va da sé ed è sicuramente un aspetto che viene continuamente calpestato nella società italiana, così poco evoluta per quanto riguarda il senso civico. Il discorso di Gloria continuo a non condividerlo: in Sudafrica, con l’apartheid, una percentuale minima di bianchi ha soggiogato per decenni la maggioranza della popolazione, nera. Secondo la logica puramente numerica di Gloria, non avrebbe nessun senso fare leggi a tutela dei neri visto che sono tanti di più, ma il potere non è mai stato equamente suddiviso tra le persone mi pare. Guardiamo ai poteri nel sistema globale, non mi pare che chi lo governi e ne determini le sorti sia una maggioranza in termini numerici, ma semplicemente una superiorità di forze e di potere. Il discorso sulla questione femminile è l’angolatura da cui noi vogliamo affrontare un discorso più ampio e complesso, che comprende vari tipi di discriminazioni e soprusi.