Nel cuore delle donne
Se Melody ha potuto evitare il disastro che in questi giorni sta schiacciando la sua Haiti lo deve soltanto a una persona e questa persona si chiama Pilar. Lo dico chiaro e tondo subito perché la storia che sto per raccontarvi ha parecchi punti opachi e non è di quelle che ti fanno andare a letto con la certezza che, se il mondo non è un bel posto, almeno sappiamo dove sta il bene e dove sta il male. È la voce che Angela ha voluto aggiungere al nostro coro di assoli, un pezzetto delle tante vite che lascia intrecciare con la sua, e che magari stanno scorrendo nell’appartamento accanto al nostro proprio ora. Avrebbe potuto sceglierne una più coerente, Angela, con dentro, che ne so, una bella eroina senza macchia, di quelle a cui non puoi non affezionarti, tanto per rassicurarci sul fatto che gli immigrati sono persone ineguagliabili, dotate di una sensibilità eccezionale e di una generosità senza indugi. Di quelle storie che agevolino il processo d’integrazione, suvvia, non vorranno mica anche il diritto di essere persone normali adesso?! Ha voluto raccontare questa, invece. Forse perché Melody le manca molto o forse perché vorrebbe entrare nella testa di Pilar, se solo sapesse che fine ha fatto.
Ma andiamo con ordine.
Haiti, 2002.
Una giovane donna muore, all’improvviso, per cause ignote, forse banali (non esiste, in ogni caso, un ospedale pubblico che possa accertarle). La donna lascia una bambina, di sette anni. Melody non vive per strada, come tanti coetanei del suo paese, ma a casa dello zio diventa soltanto un’altra bocca da sfamare. Non sappiamo molto degli anni che trascorre così, ferita larga che le parole non sanno ricucire.
Intanto in Italia c’è un’altra donna. Ha passato i sessant’anni e quando viene a sapere che nella sua isola, lasciata parecchi anni prima, la bambina è rimasta sola, decide di adottarla. Sono anche parenti, alla lontana, e lei una famiglia sua non ce l’ha più: non si è mai sposata, non ha figli. Le pratiche vanno per la lunga – i soliti cavilli burocratici – e Pilar sta spendendo molto: il poco denaro che è riuscita a mettere da parte lungo i decenni trascorsi a pulire le case di cura, a tener dietro ai vecchi di altre famiglie, ormai è finito. Ma alla fine Pilar la spunta e torna a Bologna con la sua Melody, che ha undici anni e ormai la chiama mamma. Cominciano la loro nuova vita insieme. La bimba va a scuola: è curiosa, attenta, i professori sono contenti. Frequenta il doposcuola per imparare ancora più in fretta l’italiano e qui conosce la mia amica Angela e Giovanna, un’altra educatrice. Spesso si trovano tutte a casa di Pilar: chiacchierano, ridono, mangiano insieme. Melody fa già la prima superiore e chi ha visto arrivare quella bimbetta spaurita dentro un abitino da cartolina antica stenterebbe a riconoscerla, ora che s’impunta per vestirsi come le sue amiche, quei bei pantaloni strettissimi che lasciano la pancia scoperta e piatta, e per stare fuori ogni giorno un po’ di più. Pilar si rabbuia: “Te lo faccio vedere io cosa vuol dire stare al mondo! Ti mando in un posto dove ti raddrizzi di sicuro”. Melody smette anche di andare al doposcuola, pare che Pilar non le permetta di uscire. Giovanna la vede lo stesso perché lavora anche nel suo istituto. La ragazzina sembra sempre più tesa, dice che Pilar fatica a sopportarla e minaccia di rispedirla ad Haiti. Una sera Giovanna e Angela ricevono una telefonata dai carabinieri: Melody è andata da loro e rifiuta di rientrare a casa perché Pilar le ha comprato un biglietto di sola andata per Haiti. Le due non si incontreranno mai più. La ragazzina viene accolta in una casa-famiglia, dove a poco a poco si ambienta, tenace. Intanto Giovanna decide di trasferirsi in un’altra città da dove ottiene l’affido della ragazzina, fino al compimento della maggiore età. Angela non ne sapeva nulla. Questo Natale ha ricevuto una cartolina: poche parole, un pensiero. Melody.
L’altra sera mentre mi raccontava tutta questa storia, dentro a una birreria con le scalette a chiocciola e il pavimento di legno, aveva uno sguardo perplesso, velato di lacrime.
La musica dei Guns and Roses, troppo alta, stonava con tutto.
Ecco.
Io qui ho un po’ di Jazz di sottofondo.
Ma anche questo stona.
È la vita, belle. Perché crediamo che siano così complesse le procedure di adozione? perché l’integrazione è difficile? Perché per tanti emigrati il passato è il paradiso in terra?
La vita non ti dà certezze, ti dà persone e situazioni, ognuno fa del suo meglio, crede in quello che può e ama dio e la vita come può.
E noi ce li prendiamo così, viviamo come possiamo e facciamo quello che è possibile. A volte una vita si salva, a volte una si distrugge e nessuno ha il controllo sul si, sul no e sul perché.
Ma continuiamo a vivere e contnuiamo ad amare per quello che possiamo e il senso ce lo cerchiamo dove si può.