Con gli occhi miopi
Con la mascherina gli occhiali si appannano e non sempre posso sostituirli con le lenti a contatto, che dopo un po’ mi pizzicano gli occhi o mi dolgono. Allora ho cominciato ad andare in classe con gli occhiali in mano, vedendo tutto sfocato, scambiando la collega per l’educatrice e confondendo due alunne che si sono invertite di posto a mia insaputa. Quando qualcuno mi chiama, soprattutto dal fondo della seconda che è un’aula stretta e lunga, inforco gli occhiali perché, nel generale svaporare dei contorni, anche l’udito mi sembra compromesso (ma non dovrebbe affinarsi?). Devo però sfilarli immediatamente perché subito le lenti mi si appannano, come quando entro in bagno e una delle mie figlie sta facendo la doccia. Così rimango in una dimensione indistinta. L’anno scorso avevo una classe che andarci dentro senza occhiali avevo paura. Non potevo permettermelo, sarebbe stato un errore madornale, di cui non so se avrei avuto il tempo di pentirmi. Quest’anno no. Sono più rilassata, la lucidità mi si svela sopravvalutata. La miopia mi regala leggerezza. Le pareti dell’aula si sfarinano, non vedo marche né stili d’abbigliamento. Non vedo i volti coperti per due terzi, lavoro di fantasia e d’immaginazione. Mi estranio. Come Miguilim, nel romanzo di Guimarães Rosa, o Eugenia, la bambina di Anna Maria Ortese.
Non ho poi tutta ‘sta voglia di scoprire com’è diventato questo nostro povero mondo.
