Dar voce a sorelle remote. Il romanzo storico come riscatto
Nei romanzi di Maria Attanasio, le frasi si srotolano con la cadenza di un parlato siciliano, imperniato su sonorità desuete. Se poi ti capita di ascoltarla e vederla parlare, hai la sensazione di avere davanti una donna sincrona, eco profonda di un passato che si è cercato di schiacciare, seppellendolo, e che invece riaffiora, in voci rare di corpi che ci sono anagraficamente contemporanei, ma che ospitano in loro vicende lontane, marginalizzate, ferite non rimarginate.
Come Kiran Millwood Hargrave, anche Maria Attanasio è una romanziera sbocciata dalla poesia. Una cantastorie. Io l’ho scoperta leggendo di streghe, nelle mie ricerche lungo percorsi da portare in classe. In “Correva l’anno 1698 e nella città avvenne il fatto memorabile” troviamo Francisca, gender fluid ante litteram che, come la Kirsten di Vardø. Dopo la tempesta, veste da uomo e da uomo agisce ma da donna sente e da donna connette. La narrazione fa parte della raccolta Lo splendore del niente e altre storie, dove Maria risponde a quel potente richiamo che ha avvertito chiaro un giorno, di ridare profondità alla storia, di rispondere alla storicità che sentiva dentro di lei, non individua unica, ma tante individue, di dare ascolto e voce alle molteplici donne che ci abitano. Un gesto politico, perché “politica è non finire in sé stessi, è continuare nell’altro” e continuare l’altra, non solo nel presente, ma in una stratificazione che ricongiunge punti sparsi nel tempo, dando loro corpi e spessore. È in questa sincronia che l’autrice afferma di ritrovare una propria identità, con dentro altri occhi, altri respiri, altri pensieri: una “latenza di vissuti che premono” su di lei “e basta un gesto per farli tornare in vita, restituirli attraverso le storie”. Riesuma così quella “atona storia delle madri”, a partire da un dettaglio ritrovato in vecchie cronache, un gesto “che si è inserito dentro di lei e ha dovuto per forza raccontarlo”. Sono donne che “hanno resistito, hanno detto no”. Solo con l’immaginario letterario puoi restituire vita a chi non c’è più. E così fa Maria Attanasio con Francisca, una vedova che si travestì da uomo per andare a lavorare in campagna. Cambiò abbigliamento per lavorare più comoda e farsi assumere a giornata o a mesata – tanta preclusione ancora c’era per le donne ad accedere al lavoro. Le voci però si sparsero e Francisca venne accusata di avere stretto un patto col diavolo.
Non può che essere così se la tua identità si sottrae al dualismo.
Se ti vivi cangiante quale ti senti.
L’autrice solo questo gesto sapeva, ma questo gesto dentro di lei voleva avere ascolto, voleva avere voce. E lei la voce gliel’ha restituita, a questa sua “sorella remota”, ritrovando anche un brandello di sé stessa. Perché siamo solo la latenza che ci preme dentro, un buco vuoto che ha il dono di far risuonare.