Passione. Camille Claudel II

Camille Claudel arriva a Parigi a 17 anni. Fin da piccola lavorava l’argilla e la cuoceva nel forno di casa. Sa che nella capitale potrà diventare una scultrice. Si iscrive all’accademia e va a vivere da sola. Il padre la stima e grazie alla sua fiducia Camille prosegue nella sua specializzazione. Dopo la partenza per Roma del suo maestro, Alfred Boucher, Camille comincia a prendere lezioni da Auguste Rodin, che si fida a tal punto di lei da affidarle la realizzazione di mani e piedi delle sue opere. I due si amano per anni, ma lui continua a rimanere legato a Rose Beuret, dalla quale ha avuto un figlio. Anche Camille resta incinta e abortisce. I rapporti fra i due si allentano.

Fra 1894 e 1900, Camille raffigura nell’Âge mûr un uomo che si lascia trascinare via da una donna anziana mentre, dall’altro lato, una giovane donna, in ginocchio, lo implora invano di restare. Questa scultura suscita scandalo nell’ambiente parigino. Anche il fratello Paul si mostra scioccato e si preoccupa per le ripercussioni che “gli eccessi” della sorella possono avere sulla sua carriera di scrittore.
Camille si sente defraudata, perseguitata. Si isola. Scrive nel 1905: “Conosco la mano malevola che lavora nell’ombra per allontanare da me tutte le amicizie, tutte le buone volontà, perché io arrivi a implorare il suo aiuto e lo faccia passare per un benefattore”.
Di lì a pochi anni sarà internata in manicomio e smetterà per sempre di scolpire.
ARIDO ABISSO
Eri enorme
e ora sei
ridicolo,
il tuo volto
convulso
in un orgasmo
di rabbia.
La litania
squallida
delle tue voglie
vomitate a caso
sulle passanti
Non ti imitavo, ti ero
Montagna
di carne
pietrosa
tra le mie mani.
Iniziate a te
da un luogo
immemorabile,
percorrevano
le linee del
tuo corpo-casa
con la perizia
innocente
di una sapienza
fin lì ignota.
Non ti tentavo, ti usavo
Noncurante e sfuggente,
avvertivo il peso
dei tuoi sguardi,
pura insistenza
sulla mia pelle,
e sentivo
il mio corpo
sanguinare –
liquido dolce e caldo
di procreazione mancata.
Mi ritraevo,
sicura
di ritrovarti
al prossimo angolo.
Discreto.
Il mio gigante
ruggente
e appartato.
Mi vedevo
scolpire
muschio
sulla tua barba
boreale.
Non mi copiavi, mi eri
Gelosa
della tua figura
di satiro
sgraziato,
ti immaginavo
penetrare
con goffa veemenza
corpi estranei
al nostro.
Il gorgheggiare
osceno
delle tortore
sotto la mia finestra
mi evoca
oggi
il sale
dei nostri
sudori
instancabili,
il tuo sguardo
implorante
che per un istante
– ogni volta! –
credevo
di avere in pugno.
Sono Chloto,
vecchia e lasciva,
strozzata
nella ragnatela
di carne
in cui credevo
di averti incatenato.
Antigone,
sepolta nella pietra
gelida
del tuo diniego,
mio muto
padre
sterile.
Legge fatale
perché mi spegne
l’amore
incavando
la vita
in un fondo
incrostato
e umido,
come l’orbita
vuota
di un cieco.
Mi vendicherò
seducendo
a caso
col mio corpo
sbattuto vivo
sotto i loro occhi
vogliosi.
Mi vendicherò
della tua freddezza.
Scioglierò
dentro di me
il tuo gelo
dilaniante
al ritmo
di amplessi
amputati
d’amore.
E sarà una festa sincera di povere anime rognose.
Non fingo
il piacere.
So godere bene
in tua assenza.
Come se il vuoto
fosse la tua bocca
a baciare il mio sesso.
Come se il nulla
fosse il muscolo
nervoso
della tua lingua
esperta a risalire
le pareti bagnate
del mio luogo
più antico,
tu,
mia origine
degenerata
e sporca.
Mia zolla di terra,
un tempo fiorita,
oggi covo
di vermi oleosi.
Silvia Cavalieri (Montombraro, 21 luglio 2014)
Fratello e sorella. Camille Claudel III
