Sorella e fratello. Camille Claudel III
Una settimana dopo la morte del padre, la madre e il fratello Paul rinchiusero Camille nell’ospedale psichiatrico di Montfavet, vicino ad Avignone. Paul, l’amato fratello minore, che Camille aveva coinvolto nei suoi giochi d’infanzia e aveva portato con sé attraverso i paesaggi scoscesi del cantone di Fère. Paul, ormai noto poeta cattolico, che aveva cominciato anche una carriera politica con l’aiuto di Rodin, quando questi era l’amante della sorella. Paul, imborghesito e ricchissimo possidente.
Era il 1913. Da quel momento Camille non scolpirà più nulla e resterà in manicomio fino alla morte, nel 1943.

FRATELLO E SORELLA
A Paul Claudel
Non mi sei tornato morto,
fratello,
e non ho dovuto combattere
per seppellirti
entro le mura della città.
Ma avrei graffiato via
tutta l’ipocrisia
dai loro volti
per difendere la tua causa.
Avrei morso
i loro stinchi
sottili e tirchi
per far brillare la tua stella.
Avrei gridato
fino a farmi sanguinare la gola
per dar voce alla tua ragione
folle e viva.
Ma ti sei spaventato
– così maschio anche tu
nel deludermi –
Timido, hai dapprima
cercato di glossarmi
affinché il mondo
mi potesse capire e venerare,
come facevi tu,
ancora bambino,
mentre scappavamo
dalla gabbia dei loro sguardi
severi
per perderci nel bosco
ai margini del paese,
fino al fiume,
specchio nostro
impeto incurante,
rocce diavoli vivi a succhiare
il nostro sangue,
dolce come se fosse bianco.
Come mi esaltavi
nelle tue lettere di presentazione in società:
“Accoglietela! Accettatela!
È mia sorella! Non vedete il genio?!
Non sentite il calore,
dove mi sono nutrito,
strano e perduto,
nei miei anni più acerbi?”
Tentavi di addomesticarmi
– dopo aver abdicato alla tua pazzia –
abbagliato dal mio fuoco,
dove avevi scaldato
la tua piccola anima spaurita,
ora che lo vedevi
incendiare
anche gli affetti più cari,
nel nome
di un rigore estremo
intransigente
che avete chiamato mania
e che invece era grido
atterrito
dalla prospettiva di un abbandono
che sempre ho prevenuto
per non vedermi
annientata
dalla sua violenza
sorda e ottusa.
E lì sono morti i prati
è morto il nostro torrente
le corse a perdifiato
fino al buio fitto della foresta.
È morto il demone potente
della tua creatività
ormai codarda.
Hai permesso
ai tuoi santi
tediosi
di irritarsi
dei miei eccessi
della mia rabbia
del mio scherno.
Hai permesso
che il sacro vincolo
di sangue
che unisce
fratello e sorella
si recidesse
nel vuoto
cieco
del tuo integrato
perbenismo.
Cadice, 5 e 6 luglio 2014
