Il mito di Eros e Psiche nel panpsichismo contemporaneo di Freya Mathews. Una “nostalgia della luce”
Profondamente convinta che servano proposte convincenti per guarire il mondo ma anche per guarire la necrosi che ammala le nostre visioni del mondo, ritrovo con gioia in un angolo basso della libreria il saggio Per amore della materia, che pensavo di avere prestato o perduto. Qui la filosofa australiana Freya Mathews sottolinea la necessità di tornare ad avvolgere i luoghi nel canto – a in-cantarli, come nella tradizione aborigena – per riconnettersi eroticamente alla materia di cui i luoghi sono fatti. Questo incantamento, Mathews lo descrive come un’inter-permeazione: una sorta di innamoramento, lo stato cioè in cui ci lasciamo permeare da altre soggettività, non necessariamente umane (nella sua prospettiva, appunto panpsichista, l’intero mondo si percepisce rianimato). Questo vivificante abbandono, che ricorda il “pulviscolo erotico” di Audre Lorde, potrebbe restituirci la vivezza del nostro esistere: “la meraviglia, l’esaltazione, un senso di pienezza ed espansività, la bellezza e lo stupore” (27), che sono poi le caratteristiche del sacro. L’approccio alla realtà non sarà allora quello inquisitorio della scienza classica ma piuttosto quello dell’incontro, teso non alla spiegazione ma all’in-canto (quello del reincanto è un tema che torna in alcune pensatrici e pensatori contemporanei, come Silvia Federici e Alberto Meschiari). Un ostacolo a questo lasciarsi andare in erotico scambio con l’universo è certamente la paura della sofferenza e della morte che le creature dell’universo ci possono infliggere. Per darci una traccia utile ad avvicinarci alla fenomenologia del panpsichismo, Mathews analizza la storia di Eros e Psiche. La ricerca d’amore, che spesso è al centro delle narrazioni fiabesche, può essere letta come metafora di una ricerca più profonda che ha a che fare con un segreto esistenziale che necessita di essere svelato perché l’io evolva. Qui però ciò che si desidera è letteralmente Eros, in persona, ossia l’eros “come un’attitudine, un orientamento, un modo d’essere nel mondo” (216). Mathews riprende la vicenda dalle Metamorfosi di Apuleio, ma la fa derivare dal più arcaico mito neolitico della Grande Dea, la cui prima versione conosciuta è quella della dea sumera Inanna e che ritroviamo nel mito greco di Demetra e Persefone, celebrate annualmente nei Misteri Eleusini. Suo tema centrale è la discesa negli Inferi per conoscere sofferenza e morte e il ritorno al pieno appagamento della gioia della vita, “nonostante quella conoscenza, anzi, proprio grazie ad essa” (214).
A causa della sua attrazione per la magia nera, Lucio nelle Metamorfosi viene trasformato in un asino e, come tale, deve viaggiare per un intero anno subendo le angherie di terribili padroni, mossi soltanto da appetiti bassi. Il tipo di vita di queste persone ha un suo vigore e una sua forza, porta a una certa pace dei sensi dopo ogni piacere, ma è piena di paura e brutalità, in balia della sorte. È una vita che non conosce il senso del sacro.
Rispondendo alle sue accorate preghiere, Iside acconsente a fare tornare Lucio umano. In segno di gratitudine allora, lui diventa suo sacerdote e, invece di avere accesso ai segreti della magia nera come voleva, viene iniziato ai Misteri della Dea. A questo punto, “alla luce delle celebrazioni e rivelazioni della dea, la sofferenza è mitigata e la morte perde ogni significato ultimo. Apuleio sembra volerci dire che quando i nostri occhi si aprono a questa dimensione immanente e sacra della realtà, allora non siamo più condannati a una vita brutale di appetiti e sofferenze senza senso: l’appetito viene piuttosto trasformato in eros, in una partecipazione intersoggettiva al rinnovamento transpersonale del mondo.” (215)
È per raggiungere questo stato che nel mito, riassunto da Mathwes alle pagine 217-220, Psiche cerca di diventare un sé erotico. La sua storia ci rivela che ciò è possibile unicamente nel contesto di un mondo panpsichista, “perché consiste nella disponibilità e capacità di trovare indicazioni poetiche su come agire in qualunque situazione data” (216)
Vediamo ora la sintesi dell’interpretazione che ne fa la filosofa, che suddivide la storia in tre parti.
1) L’eroina deve diventare un essere consapevole della propria individualità, acquistando cioè coscienza della sua separazione dalla natura. Ma “come riconoscere la nostra separazione dal resto della natura e al tempo stesso mantenere il nostro vivificante coinvolgimento nei processi transpersonali?” (221). Nella prima parte è come una bambina, non ancora consapevole del sé come invece il proprio nome vorrebbe: si identifica col mondo e quindi non comprende ancora la propria vulnerabilità. È ancora cioè, “cieca alla soggettività” (222)
2) L’eroina sperimenta la caduta, uscendo dal suo stato di innocenza e avventatezza: attraverso l’incontro con Eros la rivelazione comincia. È l’intimità sessuale, come per Eva, a stimolare la curiosità che permette la maturazione del sé. Ma Eros stesso, in questa fase, non è del tutto evoluto ed è riluttante a riconoscere la sua dimensione soggettiva. Lui stesso però viene trasformato dall’incontro con Psiche. Il processo d’individuazione è in atto e ci ritroviamo esposte alla sofferenza, che ora, essendo noi separate, non è più condivisa col resto del cosmo, ma è solo nostra. Tuttavia in questa fase, in cui diventiamo coscienti del nostro isolamento, il sé diventa tutto ciò che possediamo e, per questo, arriva ad assumere per noi un significato immenso. Paradossalmente arriviamo alla coscienza di noi attraverso l’incontro con l’altro, ma in questo momento diventiamo anche coscienti del nostro isolamento. Questo paradosso schiude essenzialmente tre possibilità ben diverse: quella dell’io autoico, trincerato nella propria interiorità e quindi emozionalmente inerme, che necessita continuamente di un riconoscimento esterno perché psichicamente azzerato, quindi un io manipolatorio e manipolabile, controllante e controllabile; quella invece dell’io mistico, che rinuncia alla separazione col dolore che essa comporta, e fugge verso l’unità primigenia; la terza è quella in cui il sé da poco individuato cerca di riconnettersi al mondo non attraverso la fusione ma lasciandosi permeare nell’intersoggettività materica dalle altre creature. Questa è la strada che sceglie Psiche: quella dell’io erotico. Vediamo come si dà questo processo di presa di coscienza:
3) Psiche fronteggia le enormi difficoltà derivanti dal voler preservare la coscienza di sé e al tempo stesso mantenere la consacrazione all’eros. Questo è il vero momento della crescita. Psiche è sconvolta dal suo desiderio di connettersi con Eros perché questo desiderio si manifesta come un’ossessione, come se il senso della sua reale esistenza dipendesse “dalla continuità dell’incontro intersoggettivo che lei desidera sopra ogni cosa ma che è anche altamente destabilizzante”. Eros tra l’altro sfugge “da questa brama di possesso mascherata da brama di essere posseduta. Si ritrae a una giusta distanza per consentire a Psiche di avere il tempo di stabilire i propri confini, che le sono necessari se vorrà diventare capace di gestire una relazione erotica. Tali confini sono necessari per sviluppare superfici che siano salde, ma abbastanza flessibili da consentire l’incontro con l’altro invece di una fusione, e di contenere quel desiderio che, se non arginato, consuma l’altro.” (227-228)
Nel suo viaggio evolutivo Psiche deve affrontare delle prove che Afrodite le sottopone per acquisire “le qualità psicologiche che sono necessarie a un sé per esporsi a una prolungata intersoggettività senza esserne distrutto”, per poter “fronteggiare i pericoli dell’incontro e godere i frutti dell’Albero della Vita, invece di sopprimere l’erotismo” (228). Prove che Psiche affronta nell’umiltà e nella gentilezza, come le insegna la torre, immagine di ciò che lei dovrà diventare: stabile nel proprio centro, a suo agio nella fluidità del paesaggio.
Dalle differenti prove, Mathews desume le seguenti lezioni:
1) Tratteniamoci dall’imporre alle cose la nostra idea di ordine.
2) Ritroviamo il coraggio, nella sua etimologia che lo associa al cuore, luogo dell’amore: espandendo il cuore col coraggio si prepara nella psiche lo spazio per l’amore. Quale coraggio però? Non quello degli “atti eroici, di impetuosità o di impulsività”, ma quello dell’attesa del “momento di calma e chiarezza di visione in cui la situazione potrà essere percepita e apprezzata in tutta la sua particolarità, il momento in cui si potranno identificare le opportunità che essa offre” (232).
3) Sviluppiamo la forza, imparando a fronteggiare ciò che ci sembra inaffrontabile. E anche la chiave della forza – di questo altro genere di forza, per dirla con Alessandra Chiricosta – sta, come per il coraggio e per la comprensione, in una specie di inazione: si fa un passo indietro, di lato, per esaminare le potenzialità che la situazione in sé offre per risolvere il problema. Non occorre farsi carico di tutto. In ogni situazione esiste una corrente di energia capace di condurci alla nostra destinazione, “aggirando gli ostacoli come fa l’acqua di un fiume” (e il fiume è presenza potente sia nella favola di Psiche sia nelle pagine di Mathews). “Non dobbiamo sfidare il mondo, non dobbiamo metterci contro di lui o farcene carico, quanto piuttosto lavorare con la sua grana, entro le condizioni di ciò che è dato” (233).
4) Dopo la quarta prova, che è la discesa nel dolore della perdita e nel desiderio di oblio, Psiche raggiunge la padronanza di sé: è ora un io pienamente individuato ma che ancora arde di desiderio. Ora sa che non può controllare Eros, né convocarlo a sé, ma essendo diventata padrona di Sé stessa sarà pronta ad accogliere Eros quando lui tornerà di sua spontanea volontà. La morte – e la comprensione profonda della morte come condizione della nostra esistenza – sono alla base della via erotica alla vita, della opportunità di sperimentare la vita nella sua pienezza (è per questo che Psiche riceve da Afrodite la missione di portarle i cosmetici di Persefone: la dea dell’amore che trae il suo fascino dalla dea della morte).
Questo mito ci rivela dunque le opportunità che l’io ha di liberarsi del sé illusorio che blocca la via all’eros. L’ostacolo più grande è dunque la paura del dolore. Eppure la postura del panpsichismo erotico articolata da Mathews, proprio grazie al suo respiro cosmico, questa paura permette di stemperarla nell’enormità dell’universo e dei suoi cicli. Ieri sera ho rivisto Nostalgia della luce, del regista cileno Patricio Guzmán. Valentina Rodríguez, figlia di genitori desaparecidos, oggi astronoma in uno dei più importanti osservatori del suo paese, verso la fine di questo documentario-poema, si esprime con parole di una saggezza che mi ha fatto pensare proprio alla filosofia di Freya Mathews. Ascoltiamole:
“L’astronomia, in qualche modo, mi ha aiutata a dare un’altra dimensione al dolore, all’assenza, alla perdita. A volte, quando uno è da solo col proprio dolore, intimamente – e anche quello è necessario, ma… il dolore diventa soffocante – io dico che tutto fa parte di un ciclo, che non è iniziato e non finirà con me, né con i miei genitori o con i miei figli, e mi dico che siamo tutti parte di una corrente, di un’energia, di materia che si ricicla. Come accade per le stelle. Le stelle… devono morire, perché altre stelle possano nascere, altri pianeti, perché nasca una nuova vita. E in questo contesto io credo che… ciò che è successo ai miei genitori, la loro assenza, assume un’altra dimensione, prende un altro significato. E ciò mi libera un po’ da questa grande sofferenza, da questo dolore, e sento che… che niente finisce davvero”.
La proposta filosofica di Freya Mathews nutre questa nostra nostalgia della luce, perché siamo orfane di uno scambio fisico con la materia di cui è fatto il mondo, ci siamo lasciate portare via questa antica pienezza.
P.S. La traduzione dall’inglese di Per amore della materia è frutto di un lavoro collettivo realizzato da Etain Abbey, Claudia Bruno, Egidio Grasso, Sabrina Lollini, Francesca Mengoni, Stefano Sangiorgio, Maria Stocchi.